Perchè la nostra generazione è infelice

Questo articolo del blog waitbutwhy.com non è scritto da me. Io l’ho solamente tradotto.
Mi sembrava interessante renderlo disponibile ad un pubblico di lettori non anglofoni.

 

 

Dì ciao a Lucy.

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Lucy fa parte della Generazione Y, la generazione nata nel periodo compreso tra il fine anni ’70 e la metà degli anni ’90. Fa anche parte della cultura yuppie che costituisce una larga parte della Generazione Y (Gen Y).

(nota del traduttore: Per approfondire, leggi a proposito degli yuppie qui)

Mi piace descrivere gli yuppie della Gen Y con un acronimo — Li chiamo “Gen Y protagonists & special Yuppies”, o GYPSY. Un GYPSY è un sottotipo di yuppie, che pensa di essere il protagonista di una storia molto speciale.

Dunque, Lucy sta vivendo la sua vita GYPSY ed è molto rincuorata per il fatto di essere Lucy. L’unico problema al riguardo è il seguente:

Lucy è infelice.

Per comprendere il perchè di ciò, dobbiamo inanzitutto definire e comprendere cosa renda felice o infelice un individuo. Deriva tutto da una semplice formula.

2013-09-15-Geny2.jpg[FELICITÀ= REALTÀ – ASPETTATIVE]

E’ tutto piuttosto lineare — quando la realtà della vita di un individuo supera le sue aspettative, egli è felice. Quando al contrario risulta inferiore alle aspettative, egli è infelice.

Per ritornare al contesto di cui accennavo, introduciamo nel discorso i genitori di Lucy:

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I genitori di Lucy sono nati negli anni 50. Loro sono i cosiddetti “baby boomer” (n.d.t.: per approfondire qui). Furono cresciuti dai nonni di Lucy, membri della “Grande Generazione”, che è cresciuta durante la Grande Depressione è che ha combattuto la Seconda Guerra Mondiale, e soprattutto non sono assolutamente da definire GYPSY.

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[femminuccie]

I nonni di Lucy erano ossessionati dalla sicurezza economica e accudirono i loro figli insegnando loro i valori della sicurezza nel lavoro, della praticità. Volevano che i propri figli facessero crescere un prato molto più verde e rigoglioso di quello che avevano coltivato loro. Dunque i genitori di Lucy sono cresciuti con la prospettiva di ricercare una prospera e stabile carriera. Qualcosa di simile a questo:

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Gli fu insegnato che niente e nulla poteva fermare il loro progredire professionale, ma al tempo stesso appresero che servivano anni di duro lavoro affinchè il prato rigoglioso potesse essere realizzato.

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[Grafico raffigurante la soddisfazione lavorativa dei baby boomers in funzione degli anni]

Dopo aver vissuto il periodo hippie (che è diverso da Yuppie), i genitori di Lucy intrapresero le loro carriere. Nel periodo a cavallo tra ’70, ’80 e ’90, il mondo ha vissuto una prosperità economica mai vista prima. I genitori di Lucy fecero anche meglio di quanto si aspettavano. Questo li rese gratificati ed ottimisti.

Ciò determinò nei GYPSY una enorme fiducia e speranza per il futuro, al punto che gli obiettivi raggiunti dai genitori riguardo sicurezza economica e prosperità sembravano oltremodo obsoleti. Un prato rigoglioso, per i GYPSY, doveva avere anche i fiori.

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Questo aspetto ci svela un primo ed importante aspetto dei GYPSY:

I GYPSY sono selvaggiamente ambiziosi.

 

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[Penso che potrei diventare Presidente, ma è davvero la politica la mia vera vocazione? No… sarebbe una soluzione troppo definitiva]

I GYPSY hanno bisogno di molto più che un bel giardino di sicurezza e prosperità. Il fatto è che un prato verde e rigoglioso non è adeguatamente eccezionale o sufficientemente unico per un GYPSY. Mentre per i Baby Boomer esisteva il Sogno Americano, i GYPSY desiderano vivere il loro sogno personale.

Cal Newport, in un suo articolo, fa notare che il trending di popolarità della frase “follow your passion” (segui le tue passioni) è aumentato negli ultimi 20 anni, come potete vedere da questo grafico su Google Ngram viewer, uno strumento che mostra quanto sia presente una certa frase nei testi scritti in un ben delineato periodo di tempo.
Lo stesso Ngram viewer mostra che la frase  “a secure career” (una carriera sicura) è andata fuori moda, mentre la frase “a fullfilling career” (una carriera stimolante) è divenuta molto popolare.

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Giusto per esser chiari, i GYPSY vogliono la prosperità economica esattamente come l’hanno voluta i loro genitori — semplicemente essi vogliono anche essere soddisfatti dalla propria carriera in un modo che i loro genitori non hanno neanche preso in considerazione.

Ma accade anche qualcos’altro. Mentre le ambizioni e gli obiettivi di carriera della Gen Y sono diventati sempre più alti ed esigenti, Lucy ha ricevuto anche un secondo messaggio, durante la sua infanzia:

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[tu sei speciale]

Questo suggerisce un secondo aspetto dei GYPSY:

I GYPSY vivono di illusioni.

Lucy si è convinta che “sicuramente tutti vorranno ottenere un futuro soddisfacente, ma io sono particolarmente brillante e, di fatto, la mia vita e la mia carriera saranno ancor più luminose di quelle degli altri”.
Cosi, in un mondo dove tutti sognano il prato rigoglioso coi fiori, ogni singolo GYPSY pensa di essere destinato a qualcosa di ancora più grande —

Un unicorno scintillante al di sopra del prato fiorito.

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[confronto tra aspettative di carriera di Lucy con quella degli altri]

 

Ma perchè si definisce illusione? Perchè questo è quello che tutti i GYPSY pensano, il chè contraddice la definizione stessa di speciale:

spe-cia-le | ‘spe’ʧale |
aggettivo
Relativo ad una specie. Singolare, diverso.

 

Considerata questa definizione, che sul piano emotivo per i GYPSY ha valore di “migliore”, il resto della gente non è da considerarsi speciale — altrimenti “speciale” non vorrebbe dire nulla.

Anche adesso, i lettori GYPSY stanno pensando, “Interessante… ma in realtà io faccio realmente parte di questi pochi speciali” — è qui sta il problema.

Una seconda illusione entra in gioco una volta che i GYPSY entrano nel mercato del lavoro. Mentre i genitori di Lucy erano convinti che tanti anni di duro lavoro e sacrifici avrebbero determinato un successo professionale, Lucy considera il successo di carriera come un fatto dovuto, dato che si tratta di una persona eccezionalmente particolare come lei. Per lei è solo una questione di tempo e di scegliere quale direzione prendere. Le sue aspettative pre-lavorative dunque somigliano ad una cosa del genere:

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[“Aspettiamo che il mondo veda quanto meravigliosa io sia”]

Sfortunatamente, la cosa buffa riguardo la realtà è che essa si rivela essere non cosi semplice. Il fatto strano riguardo la carriera lavorativa è che si rivela essera decisamente difficile e complicata. Grandi successi hanno bisogno di anni di sangue, sudore e lacrime per essere raggiunti — inclusi quelli che non prevedono fiori e unicorni — ed anche le persone di maggior successo difficilmente stanno combinando/hanno combinato qualcosa di grande nel periodo dei loro primi 20-30 anni di vita.

Ma i GYPSY semplicemente non accettano questo fatto.

Paul Harvey, un professore della University of New Hampshire ed esperto dei GYPSY, nel corso di una sua ricerca, e ha affermato che la Gen Y ha “irrealistiche aspettative e si mostrano restii ad accettare dei feedback negativi al riguardo,” e “una inflazionata visione di se stessi.” Harvey dice che “le aspettative non corrisposte, in persone con forte autostima ed autoreferenzialità, sono una grande fonte di frustrazione. Essi fanno riferimento a dei livelli di rispetto e considerazione che non sono in linea con le loro effettive abilità e sacrifici, dunque è probabile che non raggiungano quei premi e riguardi che si aspettano.”

A quelli che assumono nelle proprie aziende dei membri della Gen Y, Harvey suggerisce di fare una domanda durante il colloquio, “Ti senti in genere superiore ai tuoi colleghi/compagni di corso/etc.., e se sì, come mai?” Egli dice che “se il candidato risponde di sì alla prima parte ma rimane interdetto sul ‘perchè’, possibilmente c’è un tendenza all’autoreferenzialità. Questo è dovuto al fatto che le percezioni autoreferenziali sono di solito basate su un senso di superiorità e di merito infondato. Gli han lasciato credere, attraverso esercizi di costruzione di autostima eccessivi durante l’adolescenza, di essere in qualche modo speciali ma allo stesso tempo senza includere una giusta motivazione a questa credenza.”

E siccome il mondo reale (con le dovute eccezioni) considera anzitutto il merito, durante gli anni di college Lucy si trova a vivere questa situazione:

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[Le aspettative di Lucy non corrispondono alla realtà]

L’estrema ambizione di Lucy, accompagnata da un’arroganza che deriva dalle illusioni provocate dall’eccessiva autoreferenzialità, l’ha costretta a vivere il periodo degli studi con una enorme aspettativa. E la realtà, messa a paragone con le sue aspettative, fa risultare l’equazione [felicità= realtà – aspettative] con un valore negativo.

E va sempre peggio. Oltre a questo, i GYPSY hanno un altro problema che si applica a tutto il resto della generazione Y:

I GYPSY si sentono presi in giro e ridicolizzati.

Sicuramente, alcuni coetanei dei genitori di Lucy hanno avuto più successo di quanto essi abbiano avuto. Anche se nel corso degli anni in famiglia di Lucy si parlava della vita di altre persone, per la maggior parte dei casi loro non sapevano realmente che cosa ne fosse stato di tante e tante persone con le loro rispettive carriere.

Lucy, al contrario, si trova costantemente ridicolizzata e rinfacciata da un fenomeno contemporaneo: Facebook Image Crafting (Le vite degli altri raccontate su facebook).

I social network creano un mondo per Lucy dove:

A) Qualsiasi cosa stiano facendo gli altri la fanno alla luce del giorno.
B) la maggiorparte delle persone presenta una inflazionata versione della propria esistenza.
C) Le persone che sottolineano aspetti della loro vita e del loro lavoro sono di fatto quelli a cui il lavoro (o le relazioni) sta procedendo alla grande.

Tutto ciò lascia supporre a Lucy, erroneamente, che tutti quanti stiano facendo grandi progressi, lasciando a lei ulteriore commiserazione:

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[il giardino dei vicini è più alto e più verde]

Ecco il motivo per cui Lucy è infelice, o al limite, un pò frustrata e inadeguata. Infatti, probabilmente la sua carriera può anche essere partita bene, ma su di lei è comunque calato un senso di delusione ed amarezza.

Alcuni consigli per Lucy:

1) Rimani selvaggiamente ambiziosa. Il mondo contemporaneo è pieno di opportunità per cogliere fiori e soddisfazioni. La direzione da prendere può non sempre essere chiara, ma si andrà delineando col tempo — l’importante è buttarsi a capofitto su qualcosa.

2) Basta col pensare di essere speciali. Perchè, di fatto, non sei speciale. Tu sei come tutte le altre giovani persone senza esperienza che non hanno molto da offrire. Potrai diventare davvero speciale quando lavorerai duramente per tanto tempo.

3) Ignora tutti gli altri. Il giardino dei vicini che sembra sempre più verde, è roba vecchia. Eppure nel mondo virtuale cui siamo abituati, il giardino dei vicini sembra un parco glorioso ed immenso. La verità è che tutti gli altri sono indecisi, dubbiosi e frustrati quanto te. Se tu porti a termine i tuoi obiettivi, non avrai altre ragioni per invidiare gli altri.

 

fonte: http://www.waitbutwhy.com/2013/09/why-generation-y-yuppies-are-unhappy.html

176 pensieri riguardo “Perchè la nostra generazione è infelice”

  1. Buona traduzione, argomento un po’ banale con tanto di analisi autocompiaciuta. Immagino che il blogger non appartenga alla generazione Y oppure sia una persona di successo oppure pensi di esserlo, perché trovo insultante e riduttivo descrivere la catastrofe in cui stiamo entrando (30% di disoccupazione giovanile in molti paesi europei) con un semplice ‘lavorate di più, aspettatevi di meno’. Siamo più qualificati, più formati e più informati delle due generazioni che ci hanno preceduto, quindi troverei normale aspettarsi di più dalla vita. Invece, grazie agli errori commessi da queste generazioni, abbiamo addirittura una speranza di vita più bassa. E ci dicono ancora di essere grati e sforzarci un po di più? Well, fuck them.
    Ah, e ‘settling’ vuol dire ‘accontentarsi’. L’hai confuso con ‘to settle down’, mentre qui è nel senso di ‘to settle for’.

    1. Grazie! In effetti la traduzione di quella parola mi ha un po’ fatto rimanere col dubbio avevo ovviato con una frase costruita che si aprisse a piu interpretazioni… Di fatto la “soluzione definitiva” è intesa come troppo stretta per il gypsy… Ma accontentarsi rende meglio l’idea 🙂

    2. “Siamo più qualificati, più formati e più informati delle due generazioni che ci hanno preceduto” siamo anche meno costruttivi delle generazioni precedenti fautrici del mondo attuale, quello nel quale noi ci crogiuoliamo aspettando che grazie alle nostre qualifiche qualcosa ci sia dovuto. Dovremo smetterla non tanto di avere aspettative, quanto di lamentarci e dar la colpa a chi ci ha preceduto, tutto tempo sottratto a quanto noi potremo fare.

    3. Anna!!! più qualificati??? la scuola non ha fatto che peggiorare nel corso degli anni!!! più formati??? vedi sopra inoltre oggi ancor meno di ieri la parola “formazione” non esiste nella scuola!!! più informati???? diciamo bombardati da internet da qualunque cosa senza la minima voglia di porsi il problema se la fonte della notizia è affidabile o meno!!! Sul fatto degli errori commessi dalle generazioni precedenti sono d’accordo ma anche quelle prima di errori ne hanno fatti e quelle future ne faranno altrettanti…usarlo come alibi mi sembra decisamente inutile!!!

    4. 1. non noto nessun autocompiacimento 2. sicuramente banale ma rappresenta senza dubbio l’evoluzione del pensiero dominante riguardo le aspettative di realizzazione 3. è sempre molto comodo accusare e incolpare chi ci ha preceduto 4. i 3 consigli finali sono ineccepibili e chiunque con la propria esperienza potrebbe dimostrarlo.

    5. Quello che la generazione Y sta vivendo non è il risultato di scelte sbagliate fatte dalle generazioni precedenti; certo, probabilmente attraverso scelte differenti la situazione adesso sarebbe migliore, ma l’assioma “siamo più qualificati, più informati delle vecchie generazioni QUINDI è normale aspettarsi di più dalla vita” è assolutamente errato. Quello che la generazione Y vive è un processo naturale, seppur difficoltoso, causato dalla modernità e dalla globalizzazione: la concorrenza della generazione Y in campo lavorativo è internazionale, questo vuol dire persone più preparate, più competenti e molto, molto più numerose. Ragionare sulla base di quello accaduto alle generazioni passate e fare un confronto in tal senso è assolutamente anacronistico: sarebbe come confrontare il valore della lira negli anni 60 e negli anni 90 o ancora peggio con l’euro.

    6. Siamo semplicemente troppi, ammettiamolo. Inoltre abbiamo popolazioni affamate che premono per entrare nel nostro piccolo territorio, fisico e sociale. E loro sono più affamati di noi, non potremo fermarli. Non c’è lavoro per tutti anche perché le attuali tecnologie sostituiscono il lavoro di molte braccia. Il lavoro va inventato creando servizi non essenziali che possano migliorare la qualità della vita di coloro che possono permetterselo, i quali sono sempre meno. Sarà necessaria una redistribuzione della popolazione nel mondo, come già è avvenuto in passato, ma la superficie è sempre minore e la popolazione mondiale sempre maggiore. Sono questi i problemi di Lucy ma ancora non li ha messi a fuoco.

    7. proprio per i motivi da te citati, ci stiamo stabilizzando verso l’alto, quindi ‘l’aspettarsi di meno’ deriverà strettamente da questo!

    8. Si ,si è sicuramente piu preparati rispetto a genitori ed a generazioni passate, ma anche quanto (tanto) più imbranati!
      Sinceramente credo di far parte del gruppo Y .
      ed appunto per la teoria sopra citata , credo di essere più speciale ,o meglio, MENO IMBRANATO degli altri.

    9. Concordo con Anna. Articoli come questi sono profondamente conservatori. Ignorando qualsiasi problema sociale, costringono il singolo ad un’introspezione: “Ma non starò desiderando troppo? Allora sono io che sono sbagliato?” Il singolo così trattato si adegua e stringe la cinghia, facendo il gioco delle classi dominanti e allontanandosi dalla soluzione. L’unico modo per ottenere, anche solo il praticino verde, in questo momento è associarsi, prendere consapevolezza di chi veramente comanda ed autorganizzarsi per rendere il mondo un posto migliore per tutti.
      “Sono disoccupato, vorrei un lavoro, ma non è che chiedo troppo?”
      “Infatti chiedi troppo sei un gypsy, tira la cinghia e vai a fare il lavapiatti.”
      “Ma ho due lauree…”
      “Sii umile e comincia dal basso, pezzente”

      1. che minchia hai preso due lauree a fare? così sei arrivato a 30 anni che non hai un minimo di esperienza di lavoro

        ah no c’è sempre l’idea di aprire la piadineria a panama ottimo a posto tutto risolto

    10. Grazie agli errori delle generazioni precedenti i nostri nonni sono stati spediti al fronte, figli non hanno mai conosciuto i padri, padri non hanno mai visto i loro figli, madri hanno dovuto crescere i loro figli da sole, milioni di giovani non sono mai arrivati ai 30 anni.
      Vogliamo mettere la catastrofe che stiamo vivendo in prospettiva?

    11. Più che altro è diverso il contesto 🙂 Qua ci si riferisce palesemente al contesto statunitense. Che non è quello europeo.

      1. i nostri nonni hanno vissuto la guerra anche loro
        i nostri genitori non erano hippy ma sessantottini
        noi siamo cresciuti nel consumismo e nella credenza che un giorno saremmo diventati piloti di gundam senza faticare perché noi eravamo I PRESCELTI (da chi? stocazzo)

        non c’è alcuna differenza

      2. Non c’è differenza? Ma hai presente la cultura del vincente/perdente che hanno negli States? O quella della predestinazione? Quella che se sei nato sfigato non puoi farci niente se non “get over it”? Hai presente la matrice culturale cattolica e quella calvinista quanto si discostano? (Senza voler con questo intendere che una sia migliore o peggiore dell’altra). Per favore, dì tutto quello che vuoi ma non che non ci sono differenze.

    12. mi fa sorridere,ma non divertire la quantita’ di gente che non ha gradito questa analisi che evidentemente conferma in pieno il saggio soprastante .ritengo che l’infelicita’ sia la proiezione dalla prospettiva erronea per molti di noi . io sto campando con 400 euro al mese(avevo una ditta di falegnameria) e sto perdendo la casa che avevo comprato,le cose non vanno bene e’ vero,eppur vi dico che mi sto abituando a fare con meno.quello che non riesco a buttar giu’ e’ il mio sogno,il sogno di campare con c’ho che mi piace fare e forse faccio anche meglio del falegname,scrivere canzoni e recitare che se ne va a puttane…
      l’ ambizione.sì,e’ lei che mi fotte ,mi fotte ogni giorno ,perché si e’ tramutata in un mostro, l’ aspettativa ;e poi da li’ invidia nei confronti di chi non ha gli elementi o ne ha meno dei miei, di chi non merita il posto che ha o ha avuto su vie preferenziali che a me non furono concesse,io dovevo lavorare .vivo la vita sdoppiata e l’una non coadiuva l’altra .tutti vogliamo cantare tutti vogliamo recitare o essere dirigenti,mostrarsi, apparire.e’ dura accettare di essere comuni e che la piu’ alta proiezione e’ solo quella di essere in futuro un onesto genitore .e’ vero a me non basta.
      mi consolo pensando
      che un giorno saremmo tutti commessi evvviva.

      1. Metaforicamente…

        Un tizio entra in un ristorante, paga per una pizza e il cameriere gli porta un piatto di merda.

        “Ehy!” dice il cliente “Ma questo è un piatto di merda! Io non lo mangio! Che schifo!”
        “Lei è uno schizzinoso!” risponde il cameriere
        “Ma schizzinosa sarà sua sorella! Io non mangio un piatto di merda!”
        Al che io cameriere proclama:
        “Questa sua risposta confermare in pieno quello che sto dicendo, e ciò mi fa sorridere, ma non divertire.”.

        Mah… forse un giorno capirò la mentalità di quelli che godono guardando uno che gli fotte la moglie ma credo che non arriverò mai a capire cosa porta certi poveri a sentirsi furbi quando sfottono i poveri che provano a lamentarsi dei ricchi che hanno troppo.

    13. Scusa AnnaLucy ma aspettarsi di più dalla vita… di più rispetto a cosa? qual’è il tuo termine di paragone? e perché quel di più lo stai aspettando?

      Ci hanno alterato la percezione della realtà… dobbiamo aprire gli occhi… pensiamo sia necessario il voluttuario, e non solo è necessario, ma lo devo avere adesso!

      Le farmaceutiche brinderanno ai nostri corpi annientati da prozac e famiglia

      …..Tristeza nao temo fim…. felicidade sim….

    14. Forse siamo più qualificati, più formati e più informati delle due generazioni che ci hanno preceduto. Ma la società è cambiata così tanto da aver bisogno solo di persone qualificate e formate e informate? Al mio paese i panettieri o i cuochi o i commessi nei negozi ci sono ancora. Ci sono ancora non perché sono esseri inferiori, ma semplicemente perché servono ancora.

      Anche se sposti la curva a campana verso l’alto, ci saranno comunque i più bravi e i meno bravi. I più bravi potranno scegliersi il lavoro che vogliono, i meno bravi si sentiranno come Lucy.

    15. Anna “più qualificati, più informati e più formati” è esattamente quello che l’autore intendeva con “atteggiamento autoreferenziale”, e tu ne sei un esempio illuminante. Il problema vero è che dobbiamo per forza avere due lauree e una decina di master e poi essere come minimo ingegneri aerospaziali per sentirci contenti (non felici, quella è un’altra storia). E fra qualche decennio saremo sommersi di ingegneri, fisici, avvocati e dottori ma scarseggeranno le mele perché non ci saranno più agricoltori, fabbri o artigiani. Se non abbiamo l’I-phone ci sentiamo dei falliti e in difetto rispetto ai cosiddetti nostri amici, e quando uscirà l’I-phone 77 ci sentiremo in difetto perché abbiamo SOLO il 76!! Io produco olio nel mio frantoio, faccio turni di 20 ore se occorre e ho un cellulare adatto a stento a mandare sms. A me va benissimo, dopo essermi fatto il culo per 5 anni a zero € al mese, avere abbandonato l’università (a cui ero iscritto solo perchè mi piaceva, non perchè mi aspettassi una qualche pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno), avere lavorato per altri 2 anni a 500 € al mese e tre a 700€, dopo avere pagato i miei operai il doppio di quanto prendevo io perchè c’era da pagare il mutuo, dopo tutto questo ho finalmente la possibilità di comprarmi una casa. Avere una famiglia mia. Ho raggiunto il mio obbiettivo, sono felice. Ma sono anche dispiaciuto dal constatare quanto poche siano le persone della mia generazione che la pensano come me. Sto male per loro

    16. “Siamo più qualificati, più formati e più informati delle due generazioni che ci hanno preceduto” ma questo non significa che la vita debba essere più facile, perchè TUTTI sono più qualificati, più formati e più informati delle due generazioni che li hanno preceduti, quindi tu, Anna, devi lavorare duro e sodo come probabilmente hanno fatto I tuoi nonni per ottenere qualcosa, e siccome il period storico economico non è quello degli anni 89/90, difficilmente avrai “di più dalla vita” ma semplicemente quello che ti meriti in questo momento stroico.
      Che ci siano delle colpe di alcune generazioni del perchè ci troviamo in questo momento storico/economico è indubbiamente vero. Ma non c’entra proprio nulla con le false aspettative di molte persone…

  2. Wow. Vero. Provato sulla mia pelle (sono del 1976). Ora mi faccio un mazzo per costruire qualche cosa nella consapevolezza che solo chi semina bene raccoglie. Ma ci vuole tempo e lavoro. Grazie

  3. Gracias. A pesar de que mi italiano no da para una conversación ni para escribirlo estoy convencida de haberlo entendido casi todo. Me gustan especialmente los consejos finales. Efectivamente hay que trabajar duro. Y no creerse el ombligo del universo, sin por ello perder autoestima. Así cómo no es sano creerse todo (o sólo) lo que se publica en redes sociales. De hecho, ya lo dicen, nadie es tan guapo como en su foto de Facebook. Un artículo muy interesante para entendernos. Está claro que hemos de tener expectativas realistas, sin por ello dejar de soñar, trabajar duro y asumir que la vida no es ni tan rosa como nos la pintaron ni tan negra como pensamos. Quizá hemos de empezar por analizar lo que consideramos “éxito”, “felicidad” y nuestros modelos del mismo. Porque en España, que vamos siempre después del resto, en realidad nuestra generación setentera está a caballo de la generación Y y de Lucy, que me recuerda mucho a lo que aquí llamamos la generación “ni-ni”.

    1. Duro lavoro? Merito? Tutte cazzate!!! Sto in un’azienda con circa 20 mila dipendenti, lavoro come precario e sono sempre stato tale da quanto ho terminato l’università 5 anni fa. Circa la metà delle persone assunte a tempo indeterminato non lavora (qualcuno di loro ha addirittura il coraggio di minacciare di mettersi in mutua se si prova a spedirli in trasferta da un cliente), e non viene licenziato grazie al provvidenziale intervento dei cari amici sindacati. La maggior parte di loro sono stati assunti proprio a cavallo tra gli anni 70-80-90, grazie al posto di lavoro ereditato dal padre, o alla presenza di parenti ed amici al posto giusto. Guadagno tra il 25 e il 50% in meno dei suddetti (senza che essi siano miei superiori). Inutile aggiungere che fosse per me non mi farei nessuno scrupolo a mandare tutta questa gentaglia in miseria, indifferentemente da età, famiglia ecc… di “sdraiati” con più di 30 anni posso assicurare di averne visti parecchi. Non mi sembra essere GYPSY chiedere che venga premiato il merito e che venga smantellato quel sistema che fa passare il messaggio in cui “le conoscenze” contano più della “conoscenza”.

      1. Chi l’ha costruito il sistema di cui tu parli? e chi ha permesso di farlo sopravvivere se non tutti noi!?…siamo tutti colpevoli! Il vero problema di oggi è che tutti si fanno i cavoli loro, tutti sono individualisti e si guarda l’erba del vicino solo perchè si è invidiosi se essa è più alta o per deriderlo se è più bassa. Dobbiamo recuperare il concetto di famiglia, il concetto di comunità e quello in più larga scala di Bene Comune.

      2. Infatti una cosa che “dimentica” di dire l’autore dell’articolo, oltre a non menzionare la crisi che non mi pare poco, è che i baby boomers hanno soddisfatto le loro aspettative adattando la realtà, spingendo la qualità verso il basso in modo che gli venisse incontro. E noi oltre a doverci vivere ci prendiamo pure dei fannulloni… Ma vaff…

  4. Avevo letto l’articolo originale, molto interessante.. grazie per averlo tradotto e reso disponibile anche agli italiani non anglofoni! Solo un piccolo appunto: nella vignetta dove il GYPSY pensa di poter diventare presidente, con “no, that would be settling” credo si intenda “no, questo vorrebbe dire accontentarsi” (nel senso che lui e’ degno di molto di piu’..!)
    🙂

  5. Avevo letto l’originale e la traduzione mi sembra buona, ma il mio amore per la lingua italiana mi costringe a far notare che si scrive po’ e non pò.

    1. E anche “femminucce”. Dai, diamola qualche rilettura in più se vogliamo essere più credibili (sarà troppo lo spirito Grammarnazi, ma a quell’errore mi è un po’ – cit. – passata la voglia di leggere)

      1. Grazie per i suggerimenti… l’articolo era lungo e nonostante la rilettura alcune piccole imprecisioni sono rimaste.. la forza del grammarnazi è potente in te!

  6. Lol il punto è? Il grafico non dice nulla dell’impegno effettivo ma solo delle aspettative questo rende abbastanza poco chiaro il punto del discorso e i tre consigli che vengono dati.

    Da quello che posso evincere si legge la generazione y ha aspettative superiori a quelle dei suoi genitori e sbaglia.

    Poi si mette a dire che la generazione y, non può avere aprioristicamente aspettative superiori a quelle della generazione precedente.

    Sai una volta il giardino era un bell’arco che il figlio ereditava dal padre, e quello lo utilizzava per farci una pelliccia, quelli erano i suoi fiori; l’articolo assume che la generazione y non deve aspirare ad i suoi fiori, senza dare molte spiegazioni.

    Si parla vagamente dei social network perché in qualche modo c’entrano qualcosa del male nel mondo, ma poco c’entra visto che il personaggio principale, la nostra Lucy, sembra soffrire di depressione ed attacchi di ansia e, piuttosto che una visita professionale, la si invita a provare con metodi alternativi di auto-aiuto.

    Il problema è nelle illustrazioni, i genitori hanno il loro bel giardino, i figli hanno dell’erba secca e poggiano i loro piedi nel deserto e i loro stessi genitori, ed i nonni, li accusano che questa è la forma del loro cuore e della loro volontà.

    In pratica qual’è il punto, qual’è l’ipotesi che si vuole dimostrare con tutti questi neologismi ed a quale tesi dovrebbero introdurre?

    Riformulando vorrei tesi e ipotesi che rappresentano le fondamenta e la raison d’etre del testo.

    P.s. Sono troppo pigro ed ho troppo da fare per tradurlo in eng quindi se vuoi porlo all’autore traducilo tu.

  7. Hanno ragione le vecchie generazioni quando ci dicono “femminuccie”. Appartengo alla generazione Y e me ne vergogno. Tutti alla ricerca della passione e nessuno che si sporchi le mani, e a 40 anni vivono ancora sulle spalle di mamma e papá. Poi ci stupiamo quando ci danno dei mammoni

      1. a favore un par de’ scatole, come si dice a Roma! Ho cominciato a lavorare nel 75, appena dopo il diploma e l’iscrizione all’Università a 80.000 lire al mese, dalle nove alle sette e mezza ! e giuro che 80.000 lire erano come 400 euro di oggi ma ( non mi trattate male !) in parte le davo a casa, in parte le risparmiavo e in (minima ) parte erano per il “divertimento” ! Certo che pizza e cinema erano solo la domenica, niente vacanze in albergo, niente pub, niente birre, niente aperitivi, niente viaggi …. per cui, credetemi, non ci hanno regalato niente!

      2. Massimo rispetto per quello che hai fatto nella tua vita (e di sicuro nessuno pensa che ti abbiano “regalato” qualcosa), ma cominciare a lavorare subito dopo il diploma è già un lusso che tanti oggi non possono permettersi. Peripatetiche a parte. È anche normale prendere poco quando si comincia a lavorare, il problema è quando il lavoro a 400€ al mese lo trovi dopo anni e/o dopo anni stai ancora facendo quello.

  8. Aggiungerei un altro aspetto: non solo la generazione dei “baby boomers” ha convinto noi GYPSY che siamo “speciali” e che di conseguenza dobbiamo avere aspettative che superino la semplice sicurezza e stabilità, ma l’ironia vuole che la realtà attuale è anche di molto inferiore a queste aspettative esagerate. Tant’è che “sicurezza e stabilità” sono, nel mondo del lavoro, parole quasi impronunziabili, mentre erano traguardi effettivamente più accessibili per la generazione dei nostri genitori.

  9. L’ha ribloggato su Ufficio di Coccolamentoe ha commentato:
    Questo articolo è davvero interessante e molto vero (almeno dal mio punto di vista, che sono GYPSY per anno di nascita ed educazione). Spero che possa essere uno spunto di riflessione anche per voi 🙂

  10. Bella analisi, soprattutto per chi magari non ha mai approfondito un’attimo nozioni base di psicologia come: “se l’aspettativa non corrisponde alla realtà scatta il meccanismo della depressione, difatti il depresso è un narcisista fallito”. Per quel che mi riguarda sono del ’93 e sono infuriata con i miei genitori e non credo potrò mai perdonarli. Per anni mi hanno fatto credere di essere speciale, quando invece sono comunissima anche nelle mie qualità. Ritengo che questo post evidenzi fatti sociali assolutamente risaputi, e Dio quanto mi fa incazzare la conclusione del blogger.. certo è un pidocchioso americano, loro non vivono in un territorio con il 40% o giù di lì di disoccupazione giovanile. Non devono lottare per guadagnare 200 euro, non devono convivere con l’inadeguatezza dell’istruzione rispetto alle possibilità una volta terminati gli studi… Spero davvero che la ruota giri, i dannati americani hanno sempre avuto molto più di quello che potevano permettersi, ma di certo in Europa non siamo da meno, anzi dovremmo imparare a convivere con l’essenzialità delle piccole soddisfazioni.. certo, se le avessi probabilmente andrebbe meglio anche per me, ma è il mio caso personale.

  11. … Che poi è un concetto espresso già da Caparezza in “Io diventerò qualcuno”. Leggete attentamente il testo e ritroverete almeno 1/2 di questo articolo. Per come la vedo io gli americani in questo hanno un problema più serio del nostro.

  12. Io sono daccordo con Anna. L’articolo é interessante. Ma manca di una compiuta analisi del contesto. Sono le precedenti generazioni ad aver alimentato un ampia aspettativa. Ci siamo basati sull’esperienza dei nostri genitori. Inoltre essendo la nostra la generazione più preparata che sia mai esistita (quella che ha avuto modo di istruirsi maggiormente come ci veniva richiesto) é ovvio che poi le aspettative siano state alte. Ciò che non ha funzionato é soprattutto la società e i problemi economici. Alle competenze raggiunte non é corrisposta una carriera adeguata. E questo a causa della precarizzazione della vita lavorativa. I nostri genitori entravano abbastanza facilmente nel mondo del lavoro. Magari non sempre con una piena soddisfazione. Ma almeno avevano avuto questa possibilità. Invece nella nostra generazione é una rincorsa continua. Un continuo dimostrare che si é capaci, una continua formazione, ma senza mai raggiungere l’arrivo, che non vuol dire fine del percorso, ma stabilità, ossia ciò che ogni essere umano cerca. In questo senso noi siamo parte di una generazione instabile, in perenne ricerca della stabilità che non ci é mai concessa (a parte certi casi fortunati). E questo é ancor più lampante in Italia. Ma le politiche di precarizzazione sono diffuse, anche se in modo differenziato, in tutti i paesi occidentali. Non credo che le colpe siano in modo semplicistico dei nostri genitori. Ma certamente l’appoggio a forze politiche che hanno scelto un percorso involutivo di tutta la società é stato un errore che sta pagando la nostra generazione. Dal punto di vista psicologico l’articolo può toccare, anche se in modo giocoso, un certo sentire e modo di vedere la vita. Ma come animali sociali siamo il prodotto degli insegnamenti delle precedenti generazioni. E scaricare le colpe per l’ennesima volta sulla nostra generazione é riduttivo oltre che un insulto, anche all’intelligenza.
    Una volta ti dicevano che per ottenere qualcosa dovevi superare un ben preciso numero di ostacoli. Oggi invece, a dispetto del fatto che ti era stato detto che bastava superare un certo numero ben preciso di ostacoli, finiti questi ne vengono regolarmente aggiunti altri. Salvo poi vedere che qualche fortunato che ti era dietro (anche solo per età anagrafica e percorso formativo) ad un certo punto miracolosamente non ha più bisogno di superare ostacoli… Siamo al completo caos sociale. Non ci sono regole certe e condivise. Non c’é un metro per organizzare la propria vita. Non è come prima: ti fai il culo e poi ottieni la ricompensa. No! Ti fai il culo e poi vediamo, forse, ne riparliamo dopo… Quindi al bel prato fiorito che ci hanno dipinto non corrisponde nulla. Solo la carota davanti all’asino.

    1. laureata non significa preparata

      le lauree si sono svalutate un po’ come quando stampi troppe lire e una mela ti costa dieci milioni

      1. Scusami Marletto_Cazzone, ma quando una persona é preparata, secondo te? Dopo che ha fatto 1, 2, 5, 10, 15, 20… anni di esperienza gratis? Pensi che il lavoro come é strutturato oggi sia capace di preparare realmente (quando perennemente si é costretti a cambiare e senza la possibilità di sperimentare concretamente le proprie conoscenze e capacità)? In qualsiasi paese a scuola (e l’università é una scuola) ci si prepara acquisendo quelle conoscenze necessarie per un mestiere. Poi si va a lavorare e nel lavoro si fa esperienza diretta e concreta. A che serve continuare a fare anni di “gavetta” intermittente, sottopagati e saltellando da un lavoro ad un altro?!? E soprattutto a CHI serve? Il problema non é la svalutazione delle lauree. Il problema é la forma del lavoro. Il lavoro é stato svalutato. E di conseguenza anche l’esperienza (che comprende anche il percorso di studi, ma, a seconda dei casi, non necessariamente). Potremmo dire che il problema é politico. Se da sempre le scuole servono a preparare al lavoro (e molti mestieri odierni sono della conoscenza), e oggi la laurea (e di conseguenza certe conoscenze) non é considerata capace di preparare (cosa della quale non sono proprio convinto), di chi é la colpa? Di chi fa un certo percorso di studi perché gli é stato detto che serviva, o di chi non ha saputo creare un adeguato sistema istruttivo? E il legame con il mondo del lavoro? Di chi é la colpa se non esiste un serio percorso che leghi la formazione con il mestiere? Oppure, di chi é la colpa per lo sgretolamento di questo legame (istruzione-lavoro) e quindi della mancanza di stabilizzazione della vita delle persone?
        Giusto per smetterla di colpevolizzare l’ultima ruota del carro… questo sì un “mestiere” (lo scarica barile) dove certa gente di questo paese ha acquisito grande esperienza. I più noti sono Padoa-Schioppa e Fornero. Ma ce ne sono stati anche altri, molti altri…

      2. La laurea non ti prepara per una fava di niente e non parlo della famigerata scienze della comunicazione

        laureati in ingegneria escono da ingegneria preparati a fare una carriera da assistenti dei loro prof

      3. comunque hai perso troppo tempo ed energie per scrivere una risposta quando avresti potuto impiegarle per mandare affanculo a viso aperto lo stronzo imprenditorucolo che ti offriva di lavorare gratis

        inoltre diciamocelo senza peli sulla lingua

        chi commenta su un blog è una brutta persona e merita di essere presa per il culo dalla vita

  13. …In un mondo di geni incompresi ed infelici, che non accettano di essere solamente normali, come tutti gli altri.
    Esperti del voler “essere” senza “diventare”.

  14. Per me la base del problema è che i giovani tendono a guardare ciò che non hanno e a dare per scontato ciò che hanno.
    Mai visto un giovane “gypsy” alzarsi, aprire la finestra e urlare “Oooooooh ma guardate c’è il soleeeeeee! E il cielooooooooooo! E le nuvole”…
    Ho visto invece centinaia di “gypsy” far la fila per accaparrarsi l’ultima “ridondanza tecnologica”.
    E cmq il problema non credo risieda per quelli nati nei ’70… penso sia un problema per i nati dal 1980 in poi…
    Quelli insomma che si sono fatti l’adolescenza dal 1991 in poi…
    Ah…. aggiungiamo poi che tutti sarebbero frustrati in questo periodo di crisi sia economica che culturale…

    1. Sono nata nell’86 e credimi, sono tra quelle che non fa la fila per l’ultima ridonanza tecnologica e di quelli ne conosco parecchi e provenienti dalla generazione precedente (la generazione dei miei genitori).
      Se dovessi parlarti delle mie esperienze lavorative, non saprei fare niente, ho fatto fin trippi lavori per raccogliere qualce centinaio di euro da mettere da parte, per risparmiare evito di uscire quanto più possibile e farmi bastare ciò che ho. Ho 28 anni e ammetto di essere depressa, vivo ancora dai miei, non ho un lavoro, penso che non avrò nemmeno una mia famiglia. Ora sto investendo i miei risparmi per istruirmi su una professione per poi aprire un’attività mia che, a causa del paese di merda in cui vivo, sicuramente fallirà. Sono realista 🙂

  15. Ciao, secondo me, il problema’ e’ che questa situazione riguarda in particolare degli americani, forse anche britannici, tedeschi, olandesi e simili. Ma non degli italiani. Negli USA e’ sempre possibile di effettuare una carriera velocissima, di diventare una persona nota e “speciale” (per esempio un famoso artista) essendo ancora giovane. Pero’ Italia e’ diversa: troppo povera, non si vede piu’ “sviluppo”, anzi, il numero degli intraprendenti “veri” sta calando da anni, quindi, possibilita’ non si vede piu’. In conclusione, i “problemi” dei GYPSYs negli USA siano sempre da combattere e loro soluzioni sono piuttosto raggiungibili, ma i problemi dei giovani italiani sono quelli *veri* e si sembrano eterni e irrisolvibili…

    1. Non generalizzerei tuttavia. Come è già stato commentato, il precariato è un problema di tutti i paesi occidentali. Se quindi le possibilità concrete sono più alte in un paese piuttosto che in un altro, non cambia il problema di base, ovvero che non esistono più percorsi chiari o relativamente prevedibili per ottenere una carriera / un posto sicuro eccetera. Esiste il “tu fatti il mazzo, poi vediamo”. Senza garanzie. E la crisi economica non fa che aumentare la concorrenza in tutti i campi, e fomenta proprio questo meccanismo.

  16. Grazie. Finalmente una spiegazione razionale al mio disagio e alla mia depressione.
    Ho 40 anni , una laurea specialistica, un’abilitazione professionale, una specializzazione e tante privazioni e sacrifici :disoccupata e profondamente infelice!

    1. La laurea va presa il più in fretta possibile, spegnendo il cervello se necessario

      sono tutti anni buttati via

  17. Dal commento di Anna posso dedurre che sia una gipsy che pensa di possedere una mandria di unicorni…
    Lettura interessante, esplicita una serie di concetti che tutti in qualche modo avvertiamo ma di quali, forse, non abbiamo mai ricercato le cause. Sarebbe interessante ipotizzare quale potrebbe essere la situazione della prossima generazione basandoci su questo trend.
    Ad ogni modo, ritengo giusto pensare un pochino fuori dalle righe: se la disoccupazione in Europa è al 30% ed l’obiettivo che ho è di cercare un lavoro, basterà lasciare l’Europa, no? Se si decide di non farlo è perché non si può o perché non si vuole? Perché non si può? L’articolo suggerisce che dovremmo essere disposti ad accettare il fatto di non essere speciali e di apprezzare di più quello che abbiamo, lavorando più duramente. Il mondo è grande e le occasioni ci sono, basta andarle a cercare, perché di certo non ci pioveranno addosso. Tutto dipende dalle nostre priorità (vogliamo trovare “un lavoro”, od “un lavoro che permetta una crescita professionale, che dia soddisfazione e che ci piaccia”?) e dalla nostra propensione al cambiamento: per avere una cosa che non hai mai avuto, devi essere disposto a fare qualcosa che non hai mai fatto prima.

    1. Il problema è che per andare all’estero a cercare lavoro serve un lavoro, un guadagno che permetta di sostenere i costi di un trasferimento.
      Il cane che si mangia la coda…

      1. Servono i soldi per il biglietto di sola andata, umiltà, tenacia e gratitudine. Nient’altro. Parlo per esperienza.

  18. SI VEDE CHE *NON E’* UN ARTICOLO ITALIANO. PERCHE’ SI PARLA DI MERITO. MAGARI NEL PAESE NATIO DI CHI LO HA SCRITTO “MERITO” E’ UNA PAROLA DI SENSO COMPIUTO, MA IN ITALIA NON VALE LA META’ DI UNA LECCATA DI CULO O DI UN POMPINO IN SALA ARCHIVIO.

      1. ma anche no. Perche’ proprio stavo URLANDO. perche’ queste dissezioni dei giovani anni 70/90 (e non si somigliano nemmeno morti, ma nemmeno per sbaglio) dal nome politicamente scorretto “GIPSY” sono tentativi di infilare sullo spillo la gente come un insetto con la pretesa di spiegare a tutti ‘come mai’. Ma il FAIL e’ EPIC, proprio perche’ parte dal presupposto sbagliato: che per essere felici occorra essere strapagati -come diretta conseguenza di un posto che valorizzi e appaghi la nostra singolare inesistente genialità- avvicinando l’essere umano al concetto di vivere per lavorare, quando in realta’ i piu’ dotati riescono ad essere felici lavorando per vivere, PRENDENDOSI il resto del tempo per se stessi e per coloro che amano.

  19. Hai saltato un pezzo importante nella traduzione: “With a smoother, more positive life experience than that of their own parents, Lucy’s parents raised Lucy with a sense of optimism and unbounded possibility. And they weren’t alone. Baby Boomers all around the country and world told their Gen Y kids that they could be whatever they wanted to be, instilling the special protagonist identity deep within their psyches.”
    E manca anche l’immagine associata!

    1. Onestamente non so come sia saltata… pensavo di averlo tradotto. Comunque non viene travisato il senso dell’articolo cosi come l’ho riportato… la parte mancante si limita ad argomentare alcuni aspetti e certamente hai fatto bene ad evidenziarlo!

  20. Articolo ridicolo.
    Insomma se i giovani di oggi non trovano nessuno spazio la colpa è di loro stessi (la solita solfa già ripetuta migliaia di volte) e dei loro genitori. Mai che si parli di riforme del lavoro che sono state l’equivalente di generazionicidi (mi si passi il termine), di datori di lavoro che nella precarietà e nella povertà dei loro sottoposti (sarebbe meglio dire: schiavi) ci sguazzano allegramente. La colpa non è di uno stato che non fa mai nulla per i giovani ecc.ecc. La colpa è sempre e solo dei giovani. Da ragazzo laureato e disoccupato che non sa letteralmente dove sbattere la testa voglio scrivere qui tutta la mia rabbia e il mio disprezzo per quest’articolo. Nessuno vuole avere il prato fiorito con l’unicorno gettante l’arcobaleno al di sopra. O, per uscire di metafora, nessuno, di questi tempi, si attende e spera chissà che. Oggi aspirazione irrealistica perché irraggiungibile è pure il posto da impiegatuccio alle poste, che a me e al 99% per cento della mia generazione fa venire l’acquolina in bocca. Perché per noi quello che la generazione precedente raggiungeva senza alcuna difficoltà è diventato irraggiungibile quanto l’Eldorado. Penso alle amiche di mia madre che, portando un diploma magistrale al provveditorato, furono chiamate a lavorare e diventarono maestre d’asilo di ruolo senza nemmeno un concorso e, per contro, penso a me che ora stacco perché devo riempire il modulo per la richiesta di uno dei 500 tirocini, dalla durata di un anno, che verranno pagati solo 500 euro. E non è neppure sicuro che mi chiameranno.

    1. D’accordo con Francesco. Praticamente l’articolo ci sta dicendo che dobbiamo avere 5 anni di studio per fare meno di quello che facevano i nostri genitori e dobbiamo anche accontentarci? Ci sentiamo speciali? Ma chi?
      Io personalmente dopo il diploma volevo andare a lavorare. Qualsiasi cosa andava bene, pure la commessa. Ho fatto il liceo linguistico perché tutti dicevano che apriva molte porte lavorative. Ebbene non ho trovato nulla dopo 3 anni di ricerca. I miei genitori mi hanno buttato all’università perché giustamente non volevano una NEET in casa ed adesso sto cercando di laurearmi e proseguire gli studi per ottenere un posto di lavoro che già so che non avrò mai.
      Tutti i miei amici che hanno studiato ingegneria sono a casa ma nonostante tutto si sentono il diritto di criticare chi ha fatto studi umanistici anche se sono nella loro stessa situazione. Conosco più gente senza lavoro che gente con lavoro. Ho visto mie amiche piangere disperate perché volevano aiutare i genitori con il mutuo e non possono. Ora ditemi: cosa è l’unicorno? Avere da mangiare? Poter avere un tetto sopra la testa, desiderare un figlio? Mia madre aveva la terza media ed era capo-reparto in una multinazionale. Oggi non esiste il lavoro fisso. Nessuno si sente speciale.. vorremmo sentirci semplicemente “normali”. Invece non sappiamo più cosa siamo, ci sentiamo inutili per la società, schiavi da utilizzare e poi buttare via.
      Se questo è sentirsi speciale, siamo messi davvero male..

  21. Sono d’accordo con Anna, il problema non è che non ci accontentiamo, ma che il lavoro davvero non lo si trova e l’alta percentuale di disoccupazione non è una scusa ma un fatto, e ci ritroviamo tutti a studiare per sperare non tanto nell’unicorno, ma almeno in un lavoro e avere la possibilità di uscire di casa.

  22. Articolo bello la metà. Se l’equazione è FELICITA’ = REALTA’ – ASPETTATIVE, bisogna prendere in considerazione anche la realtà com’è effettivamente. Perché se le aspettative sono semplicemente “lavorare”, oppure “essere economicamente indipendente” e nemmeno queste riescono ad essere soddisfatte, non c’entra il sentirsi speciali, belli e simpatici. C’entra il fatto che la realtà parte già male di per sé, quindi l’equazione rischia già in partenza di risultare negativa 😉

    1. si ma le aspettative dipendono da te, la realta’ no, quindi se vuoiessere felice abbassa le tue aspettative.
      Questo e’ il senso dell’articolo

      1. Il punto è stabilire di quanto possiamo abbassare le aspettative. Ipotizziamo di azzerarle del tutto, considerando come punto zero, quantomeno un lavoro che permetta di essere autonomi e indipendenti, ossia di potersi permettere una casa senza dover pesare sui genitori sino all’età di 40 anni. Bene, raccomandati e figli di papà a parte, ciò oggi NON E’ POSSIBILE!!! Ragazzi, ci rendiamo conto che oggi come oggi uno deve praticamente impegnare la propria intera carriera lavorativa (chi ha la fortuna di averla) – 40 o più anni – per pagare un mutuo, per avere cosa??? Un tetto sopra la testa… °.° Sia inteso, niente vestiti firmati, uscite, aperitivi, tv nuovo, ristoranti, iphone… utopie, solo tirare la cinghia e tagliare tutto ciò che non è essenziale. Niente matrimonio e niente figli, perchè costano troppo e non ce li si può permettere. Qua non è questione di sognare la Ferrari senza avere la patente… qua è questione di sognare un paio di scarpe per camminare nei sassi e non poterselo permettere.

      2. La realtà dipende da noi eccome. Non ti piace una realtà? O cerchi di cambiarla dall’interno, o te ne vai in un’altra che speri possa soddisfare le tue aspettative.. Tra l’altro, le aspettative che abbiamo ora non sono poi così alte, anzi, rasentano la sopravvivenza a livello sociale.

    2. ben detto! se volgiamo spararla in matematica, con una realtà al valore -1, allora noi, poveri sfigati idealisti e illusi dobbiamo solo accontentarci di un -2, nonostante mediamente abbiamo studiato “di piu” (ok, non meglio, ma di più sicuramente) dei nostri genitori?
      dobbiamo rassegnarci ad uno schiavismo perenne? a vedere le domande di licenziamento in bianco sul tavolo perchè la signorina è rimasta incinta? dobbiamo rassegnarci all’impossibilità di non crescere un figlio? di non vedere mai un nipote?

      … no perchè questa situazione di precariato è così…

      si ci sono tanti mammoni, ce ne sono anche tanti che se avessero un lavoro stabile fuori di casa ci andrebbero a razzo…

      … o la fantomatica Gen Babyboomer (quella dell’ “io alla tua età… etc etc) pensa che con 600€ al mese vai fuori di casa -e magari allevi anche un pargolo-???

      la verità è che tutto il mondo è stato preso in contropiede da delle aspettative troppo alte, gia dai babyboomers (o era forse la mia di generazione (Y) che ha fatto film tipo 2007 – auto volanti? non mi pare)

      in sostanza molti di noi hanno gia ridimensionato le nostre aspettative, ma il mondo economico è andato peggiorando (grazie Wall Street, grazie banchieri cocainomani) fino ad arrivare a soglie dove solo la normalità* è già sogno

      *e intendo una normalità secondo canoni “naturali”: family plan etc etc, no ville con piscina come a beverly hills

  23. sono pienamente d’accordo con il senso dell’articolo! saremo anche più preparati delle generazioni precedenti ma mancano umiltà e spirito di sacrificio! troppe pretese, poca dedizione! occorre rimboccarsi le maniche e smetterla definitivamente di piangersi addosso!

  24. hai esposto chiaramente pensieri che condividevo da tempo, ma che non riuscivo proprio ad elaborare in un unico discorso! (sono anche io Gypsy eeh..)

  25. Posso dire che mi pare un tantino riduttivo e autoreferenziale? Difficile fare “gavetta” quando si cercano apprendisti con esperienza. Io non pretendo di essere assunta come dirigente. Pretendo di essere pagata per il lavoro, per quanto infimo, che faccio. Vuoi che sturi i cessi? Imparo a sturare i cessi (formazione) poi mi paghi per sturare i cessi. Non che quando imparo a sturare i cessi mi lasci a casa e prendi un altro che sturi cessi gratis intanto che fa formazione di sturamento cessi.

  26. A me sembra un’analisi molto realista che riguarda una buonissima fetta di generazione Y cresciuta con un esempio, quello dei genitori, che ha vissuto un’altra epoca dove prima di tutto si costruiva. Oggi la parola d’ordine è inventare, innovare e/o saper mantenere in piedi quello già costruito. Forse è un tantino più complicato e di conseguenza ridimensionare le aspettative, guardando un po’ più al futuro che al passato, diventa obbligatorio…;-)

  27. mi fa sorridere,ma non divertire la quantita’ di gente che non ha gradito questa analisi che evidentemente conferma pienamente il saggio soprastante.ritengo che l’infelicita’ sia la proiezione dalla prospettiva erronea per molti di noi . io sto campando con 400 euro al mese(avevo una ditta di falegnameria) e sto perdendo la casa che avevo comprato,le cose non vanno bene e’ vero,eppur vi dico che mi sto abituando a fare con meno.quello che non riesco a buttar giu’ e’ il mio sogno,il sogno di campare con c’ho che mi piace fare e forse faccio anche meglio del falegname: scrivere canzoni e recitare, che se ne va a puttane…
    l’ ambizione,sì,e’ lei che mi fotte ,mi fotte ogni giorno ,perché si e’ tramutata in un mostro, l’ aspettativa e poi da li’ invidia nei confronti di chi non merita il posto che ha o ha avuto per vie preferenziali che a me non furono concesse,io dovevo lavorare .vivo la vita sdoppiata e l’una non coadiuva l’altra .tutti vogliamo cantare tutti vogliamo recitare o essere dirigenti,mostrarci, apparire.e’ dura accettare di essere comuni e che la piu’ alta proiezione e’ solo quella di essere un onesto genitore .e’ vero a me non basta.

  28. Trovo che ci sia del vero in questa analisi ma che metta in luce principalmente i lati negativi di questo essere gypsy! Io sono certo che se non sogni non miri alto e sta pur certo che sara’ difficile ottenere quello a cui miri cmq quindi centrerai un bersaglio piu basso. Morale: per centrare il bersaglio piu alto possibile devi anzitutto sognare alto. Per sognare alto devi pensare di poterti meritare quel che sogni se no il sogno rimane per aria senza nessuna attinenza alla realta’. Da qui ritengo che ritenersi persone “speciali” sia essenziale a tale scopo. Il non raggiungere i propri sogni crea sicuramente frustrazione, ma il non sognare e il non lottare per realizzarle e’ di gran lunga peggio.

  29. L’articolo rappresenta uno spaccato della situazione socio economica attuale. Possiamo stare qui per giorni interi ad elencare le cause e gli errori che hanno portato alla situazione attuale, ma, dal mio punto di vista è semplicemente terminata l’era delle vacche grasse. Il boom economico è stato un fenomeno a catena: partito dagli USA ha agganciato vari paesi tra cui l’Italia..poi, complici il nostro governo, e i soliti noti, ormai il nostro momento è passato. Sono sicura che tanti ragazzi in Cina, in India, o in altri paesi che stanno vivendo Oggi il loro boom l’ottimismo è alle stelle e ognuno può averne dieci di unicorni in giardino. E’ dura accettare la realtà…ma questo è. Forse quello in cui sbagliamo è l’avere aspettative adatte alla generazione di 20/30 anni fa. Dovrebbero cambiare le nostre ambizioni, tenendo presente che a meno che non siamo tutti figli di papà (cosa che in italia purtroppo sta divenendo fondamentale), essendo cambiati i tempi e le dinamiche, devono cambiare anche le nostre aspettative, volenti o nolenti!

  30. Non per fare il “grammar nazi” di turno, ma quando nel ‘FB image crafting’ parli di “inflazionata” credo tu abbia tradotto erroneamente il termine “inflated” che vuol dire “GONFIATA/ESASPERATA”, che è sostanzialmente l’opposto. Prova a riguardare la fonte, ma dal contesto mi pare così..

  31. Sembra, da questo articolo, che i GYPSY siano tutti un po’ dementi. La verità è che i nostri nonni hanno costruito per i nostri genitori e i nostri genitori pensavano che avere un posto fisso e pagarsi la casa al mare fosse “lavorare per noi”. In realtà questo non è vero, ma non è colpa loro che, in effetti, se hanno fatto gli operai o gli impiegati hanno lavorato come minimo 8 ore al giorno per 40anni facendosi comunque un discreto mazzo. GYPSY, semmai è la generazione dei miei genitori più che la mia, vissuta sulla scia del boom economico e quindi in un contesto economico completamente “gonfiato” rispetto al normale corso della storia. Per paradosso, le mie condizioni di vita, economicamente e professionalmente parlando, sono molto più simili a quelle di mio nonno che a quelle di mio padre, con la differenza che ai suoi tempi non c’era formazione iperspecializzante e che quindi, con un diploma di terza media, potevi arrivare anche ad essere un pezzo grosso solo per il fatto che sapevi leggere, scrivere e fare di conto. Le aspettative professionali con la felicità non c’entrano un cazzo!! L’infelicità dipende dal fatto che anche se lavori, accontentandoti di fare qualsiasi cosa, non ti rimane niente già dalla seconda-terza settimana del mese. Il resto sono minchiate da americani. Nessuno è frustrato perché “non fa carriera” ma perché ha la preoccupazione di non sapere se riuscirà a mangiare, pagare le bollette, le tasse e le spese fisse di ogni mese pur lavorando come un negro.

  32. E chi l’ha scritto questo post… Lucy?

    1. Formula felcità = realtà – aspettative.
    Fantastico, orde di filosofi per migliaia di anni non erano riusciti a trovare una vera e propria formula per le felicità. Mi sembra un’equazione che può valere solo nel mondo in cui vive, appunto un’ipotetica Lucy: un luogo in cui il benessere è così elevato in cui l’unica infelicità è data dai «capricci» della gente. Basta chiederlo a chi si trova attualmente in un inferno senza via d’uscita – e purtroppo nel mondo ce ne sono ancora. Magari lo aspettive si sono azzerate, ma credo che la sua realtà non possa essere in alcun modo essere percepita come una situazione «felice». Naturalmente, sto escludendo filosofie di carattere religioso che, non a caso, sono state più e più volte definite come «l’oppio dei popoli» (accontentatevi perché così vuole Dio = accontentatevi perché così vuole il Re).

    2. Per il resto, rimando al commento scritto da Anna: «trovo insultante e riduttivo descrivere la catastrofe in cui stiamo entrando (30% di disoccupazione giovanile in molti paesi europei) con un semplice ‘lavorate di più, aspettatevi di meno’». La situazione è un po’ più delicata di quanto viene descritto in questo post che peraltro, essendo tradotto, non credo sia stato pensato in maniera specifica per la situazione italiana. Purtroppo non si tiene conto del fatto che mentre in passato chi arrivava a prendere la laurea aveva comunque un riconoscimento di tipo professionale, ora a causa dell’elevato numero dei laureati spesso, dopo 5 anni di studio e di sacrifici, si viene trattati come dei ragazzini appena usciti dal liceo. Qui non si parla – come è scritto nel post – di fare carriera. Qui si parla di un semplice posto di lavoro, che per i laureati è ancora più difficile da trovare che per i non laureati. Le generazioni precedenti alla nostra non hanno mai vissuto questo meccanismo perverso nel quale ci sono così tanti laureati da rendere saturo il mercato del lavoro per le professioni più qualificate. E non mi sento di biasimare nessuna «Lucy» che si lamenta perché non trova il lavoro per il quale ha studiato per anni. Anche perché ormai, a fare qualsiasi altro tipo di lavoro non la prenderebbero: troppa poca esperienza, ci sono molte ragazze più giovani di lei appena uscite dal liceo che prenderanno il suo posto!

  33. Bella idea tradurre l’articolo!
    Sono del 1984, ma non capivo tanti atteggiamenti di alcuni miei coetanei. Ora grazie a queste interpretazioni (per quanto superficiali) mi dò alcune parziali risposte. Ad esempio non pensavo assolutamente si potesse passare il periodo degli studi con alte aspettative!!! In effetti però è una prospettiva interessante. Ma il sentirsi speciali però trascende l’anno d’età, credo… Ma ok, meglio affrontare un problema alla volta.

  34. Letto l’articolo, letto i commenti. Istruttivi entrambi. La mia opinione? L’articolo disquisisce molto distintamente di una società che non è quella italiana, di un una religione di autostima e di ambizione di successo che non sono quelli che viviamo e hanno vissuto i nostri genitori, quindi anche la generazione dei giovani Y “in corso” non è quella nostra. Voler ridurre il disagio della generazione che per quasi la metà resta fuori del mondo del lavoro o entra in un suo sottoscala depresso ad un problema di errate convinzioni è quanto meno superficiale, ma ogni tesi può essere interessante, purché non ci si basi lo studio delle contromisure. Di chi è la colpa? Studiando ho imparato che l’industria automobilistica giapponese superò nel tempo il predominio assoluto di quella americana perchè mentre gli americani quando qualcosa non andava bene si preoccupavano di trovare il colpevole, i giapponesi si preoccupavano di far sì che non si ripetesse l’errore. Il problema del nostro problema è che le soluzioni le cercano per mestiere i politici e, per usare un eufemismo delicato, non sono i più indicati a risolvere problemi.
    D’altra parte non sono cresciuto con la litania del “sei speciale”, anche gli apprezzamenti andavano sudati. Nè ho sparso esaltazioni fasulle sui miei figli, rischiando anche di frustrare reali meriti.
    Allora cosa possiamo aspettarci dal futuro? Abolirei i fatalismi. Non possiamo continuare a pensare che qualcuno ci penserà. Ma nel frattempo le mutate condizioni ambientali impongono una considerazione forzosa a tutti gli individui della nostra specie: occorre che gli individui, le organizzazioni, gli stati si adattino a queste mutate condizioni. Il metro con cui possiamo misurare le nostre aspettative non può essere il confronto con quelle delle generazioni che ci hanno preceduto. La globalizzazione ha molti effetti positivi, ma certamente implica il ricondizionamento. Le società dei paesi più industrializzati sono da secoli abituate a disporre di una quantità di risorse pro capite che stanno per non essere più plausibili. Di qui a trent’anni il denominatore per cui andrà diviso il monte disponibile di risorse aumenterà ancora a dismisura, implicando una sensibile riduzione di quella a disposizione di ognuno di noi. Dovranno cambiare i modelli di vita, i sistemi di trasporto, le priorità della spendibilità dell’energia. Tutto ciò obbligherà a sacrifici ben più grandi che doversi adattare a far lavori al di sotto delle proprie aspettative o non in linea con la propria specializzazione. Il mio timore è che una debolezza che le giovani generazioni possono aver contratto a causa delle migliorate condizioni di vita, e non per colpa di quella che le ha cresciute, sia di ostacolo proprio all’adattamento che è invece uno delle migliori caratteristiche della nostra specie. Abbiamo colonizzato ogni angolo del pianeta per inospitale che fosse proprio perché capaci di adeguare le nostre aspettative alle esigenze e alle risorse disponibili. Rinunciare ad un confort assodato costa molto di più che non guadagnarne uno nuovo e psicologicamente trovarsi in condizioni più svantaggiate rispetto alla generazione che ci ha formato sembra inaccettabile e contraddittorio, ma pare inevitabile. Detto questo, per non sembrare affetto da pessimismo cronico, confido che vi sia ancora spazio per invertire la tendenza e migliorare la condizione di vita, pur senza poter contare sul ripetersi delle età di benessere che ci hanno preceduto, per quelle forse ci vorrebbe solamente una guerra che non si augura nessuno. Sono anche io dell’opinione che non è salutare eccedere in autostima nè tanto meno in aspettative e ambizioni, ma, come il glucosio nel sangue, ce ne deve essere la giusta quantità, altrimenti non si sopravvive e soprattutto occorrono muscoli importanti, come la forza di volontà che si forgia con l’esercizio e la capacità di posticipazione della gratificazione, che ci insegna a far tesoro di poco e a resistere in monenti difficili per raggiungere uno scopo più ambito.

  35. Altro problemino di traduzione, “inflated” vuol dire gonfiato, non inflazionato 🙂 mi sono permessa di segnalarlo perchè trovo la traduzione ben fatta e mi è parso male non dare un contributo dopo aver sbirciato l’articolo in lingua originale. Saluti!

  36. Se una ipotesi è sbagliata , mi dicevano a scuola, la sua tesi lo sarà al punto tale che arriverà a dimostrare il contrario..
    E qui la definizione di felicità è la nostra ipotesi sbagliata.E la tesi , ovvero tutte le conseguenze e atteggiamenti indicati di seguito, sono un sunto magnifico di tutto ciò che NON è felicità.Pare di ascoltare la classifica sulle poesie di “l’attimo fuggente” , la ricordate?Equazioni..sottrazioni…noi siamo questo?(si perchè per l’uomo la felicità è tutto).Una funzione continua che va su e giù sballonzolata dalla realtà e dalle aspettative?Ho il mal di mare solo a pensarci;non dico che non ho mai vissuto di alti e bassi ma questa , come mi hanno insegnato è solo la PRIMA , superficiale idea di felicità ….e di idee ce ne sono 3.Questo modo di PESARE sulla bilancia è tutto maschile.Le donne hanno ad esempio un’altra misura , ben superiore.Loro non pesano no , sanno anzi no , intuiscono , che c’è una componente INFINITA sul piatto della bilancia e non ci provano nemmeno a fare i conti.Sanno cosa sono i SENTIMENTI e le RELAZIONI e ad esse affidano il loro destino.Ecco la seconda idea .Gli uomini si sà , sono più concreti e il loro MATERIALISMO li porta a squallide valutazioni su centimetri , chili e qualunque altra unità di misura vi venga in mente .Finiscono per identificare la felicità nelle loro vecchiaie ormai cristallizzate con il “chi si accontenta gode” , sentito e risentito dai nostri nonni e che pure è già un traguardo importante.Ma è solo il primo.Il fondersi dei sentimenti e la relazione con un’altra persona a cui affidare la nostra vita e magari perderla è altra cosa come dicevo.Le donne sono al mondo per insegnare la felicità , la seconda idea , agli uomini che naturalmente cercano di convertirle alla prima….
    E la terza?Cos’è che può superare queste 2 idee?Che cosa supera la relazione con un’altra persona , che già mi dice che io sono speciale per lei , che mi aspetta e desidera la mia compagnia…?
    C’è chi si arrende a cercare perchè il 3° tipo di felicità non si fa trovare…eppure c’è ed è semplice e sconvolgente ..i suoi effetti sono davanti agli occhi di tutti ma rimane invisibile ai cuori perchè è una scelta e la nostra libertà preferisce a volte vagare nel buio…non ci crede che possa esistere e sia tutto per lei…
    Eppure esiste come il sole che ci scalda e l’acqua nella quale ci tuffiamo , il vento che fa volare e il tuono che spezza la terra.
    E’ la consapevolezza che esiste ed è presente un sommo BENE ,INFINITO.Chiunque al suo cospetto resta incredulo.E la felicità è questo.Una vagonata infinita di gioia inaspettata ,al cui cospetto resteremmo stupefatti….”ma davvero c’è???” , inariditi e disillusi come siamo , meschini , sempre a fare di conto e invidiosi del giardino altrui.Ma cosa te ne fai del giardino altrui se credi che tutto il bene che puoi immaginare , per te , solo per te , non è nemmeno una minuscola particella di polvere di un universo infinito?Eppure le stelle sono là a ricordarcelo…ma noi no……..meglio guardare cosa hanno gli altri…………
    Bisogna scegliere tra le 3 idee , e tutti fanno la loro scelta…

      1. mi riferivo alla dimostrazione per assurdo , e per me le conclusioni lo sono , almeno per un pò

    1. scusami,
      ma sull’onda della tua progressione linguistica e di pensiero non sono riuscito a fare mio il concetto ultimo di che cosa sia in definitiva la terza via. E’ la fede o semplicemente lo stupore per l’infinità che ci circonda?

  37. mi e piaciuto molto..l argomento e molto vasto e c e ne sono di cose da dire …cmq lettura interessante!!

  38. Avete mai chiesto ai vostri genitori come hanno fatto a comprare la casa dove vivono? Io sì. La risposta è stata: quattro anni di cambiali; QUATTRO. Mio padre con la terza elementare, mia madre con la terza superiore e lavoravano entrambi, e con sacrifici si sono comprati casa.
    Il fatto è solo uno: una volta si aveva un potere d’acquisto maggiore. Una volta i soldi avevano un valore, non erano l’elemosina per i poveri.

    Ci ha portato la generazione precedente in questa situazione, giudicandoci (ci hanno dato dei choosy ricordiamocelo), quando sono i primi a non accorgersi che siamo il prodotto di quello che LORO hanno costriuto.
    Un esame di coscienza da parte di qualcuno della “vecchia guardia” sarebbe auspicabile.

  39. Traduzione in generale buona ma mi sembra che tu abbia utilizzato ‘inflazionato’ per ‘inflated’. Sarebbe meglio ‘gonfiato’ o ‘sporpositato’- in italiano il sostantivo ‘inflazione’ e l’aggettivo ‘inflazionato’ hanno un significato diverso!

  40. Anch’io, come altri commentatori, trovo che questo articolo sia pieno di spunti interessanti, ma che se andiamo a stringere sia solo il solito discorso sui giovinastri che vogliono la pappa pronta che si può sentire in qualsiasi bocciofila.

    Io non mi sento circondato da persone che vogliono tutto, al contrario. Anzi, intorno a me vedo pochissima autostima, e persone che non aspirano a nulla di particolare.

    Provate ad andare da un qualsiasi giovane e chiedetegli cosa vuole fare della sua vita, o anche solo delle sue prossime vacanze estive… Altro che grandi aspettative! Questa è gente preparatissima all’idea che dovrà accontentarsi di quello che gli capiterà, e sentirsi privilegiata se troverà anche solo un lavoro da lavapiatti avendo due lauree. E questo proprio perché fin dalla culla si è sentita dire che deve essere umile e cominciare dal basso.

    Credo che paradossalmente sia questo che pota molte persone a non avere tanta considerazione del proprio prossimo. Chi non ha stima per sé stesso non può averla neanche per gli altri.

    1. Io questo fantomatico figuro con due lauree che lava i piatti lo devo ancora incontrare. Non che non esista per carità, ma probabilmente non rappresenta tutti i giovani. Cosi come l’autore dell’articolo non delinea la totalità di un fenomeno, ma solamente una fetta.

  41. A me pare che la traduzione dagli Stati Uniti all’Italia sia tutt’altro che scontata.
    “Sei speciale”, “Segui la tua passione”. I genitori? Italiani? Ma quando? Vi auguro di aver avuto genitori o insegnanti così, almeno voi. Procedendo per generalizzazioni (ma è inevitabile,,,): è molto americana come cosa, anche a livello scolastico.
    Qui la questione è inversa: in genere non siamo stati educati a seguire la nostra passione, né a sentirci speciali per i nostri talenti. Genitori e insegnanti ci hanno indottrinato facendoci capire in mille modi che la stabilità economica e quella lavorativa erano la priorità (vero per loro, falso per noi), e che i sacrifici alla fine avrebbero pagato (aho abbiamo studiato, abbiamo una laurea come loro negli anni settanta ma non un lavoro, non prendiamoci in giro…). I tempi cambiano. Una norma sociale che funzionava in passato (studio, lavoro fisso, mutuo e casa, ecc.), mentre ora viviamo in un altro mondo. Crollata quella norma sociale (anche se i genitori si illudono che non sia così), noi dobbiamo rimboccarci le maniche, scoprire davvero quale sia la nostra passione (ma davvero… no quello che “mi piace”) e viverla sino in fondo, qui o all’estero… La felicità è questa

  42. Sono perfettamente d’accordo con quanto scritto dall’articolo e anzi questo è l’atteggiamento che ci sta facendo precipitare nella crisi. Le aspettative troppo alte impediscono di coprire i posti di lavoro disponibili, tutti vogliono diventare dirigenti (meglio se nel comparto pubblico). Un mio amico chef aveva bisogno di un lavapiatti in cucina…non lo ha trovato italiano…l’unico italiano che ha trovato ha detto che alla fine non gli conveniva farlo, tanto prendeva la disoccupazione…

    1. Sono d’accordo con il ragazzo, se per lavorare doveva spendere 500 euro e ne riceveva 400, effettivamente che senso ha? Te lo dico perchè mi sono trovata nella stessa situazione, lavoravo fuori casa. a 60 km di distanza ( a viaggio, altimenti 120 km a l giorno) per guadagnarne 600, in quei 600 ci dovevano stare i soldi della benzina, della tangenziale (12 euro al giorno, e se facevo la statale quello che non impiegavo di casello lo mettevo di benzina). L’azienda si, mi ha rimborsato poi tutti i soldi, ma più volte ho rischiato di spiaccicarmi sul gard rail, lavoravo anche più di 12 ore consecutive, niente giorno di riposo per settimane, niente pausa garantita di ccnl, e osate dire che noi ragazzi pretendiamo?

  43. Tutti proveniamo da background, contesti sociali, educazioni diverse; questo articolo si riferisce ad un determinato tipo di persona, nella quale mi sono riconosciuta per certi aspetti e ho riconosciuto altri. Non si sta parlando della situazione attuale ma del modo in cui viene affrontata da questa generazione, e posso garantirvi che è pieno di giovani che “il cane è per i comuni mortali, io voglio un unicorno B| ” bla bla bla. Ma il punto non è sognare o non accontentarsi, il punto è: Lucy, my dear, dimostra di essere speciale come pensi e non mentire a te stessa, un po’ di praticità e azione non guasta. Credo che essere speciali sia riuscire ad essere sé stessi così sfacciatamente da brillare in mezzo alle numerose maschere costruite. Tutte le persone veramente superiori e di successo che ho conosciuto non hanno mai perso tempo a guardare cosa facevano gli altri, hanno sempre puntato tutto sui loro obbiettivi e sullo star bene, dandosi un gran daffare ma senza dimenticarsi delle cose belle della vita.
    In poche parole, il cervello è una cosa bellissima, ci piace usarlo e riempirlo di nozioni, teorie, letture, film, arte etc. etc, ci sta anche giocare a fare i fighi d’avanguardia e blablabla, ma anche il culo vuole la sua parte e bisogna muoverlo.
    Amen.

  44. Tutti proveniamo da background, contesti sociali, educazioni diverse; questo articolo si riferisce ad un determinato tipo di persona, nella quale mi sono riconosciuta per certi aspetti e ho riconosciuto altri. Non si sta parlando della situazione attuale ma del modo in cui viene affrontata da questa generazione, non è la scoperta dell’acqua calda ma è interessante comunque per chi magari non l’ha ancora scoperta. Posso assicurare che è pieno di giovani che “il cane è per i comuni mortali, io voglio un unicorno B| ” bla bla bla. Ma il punto non è sognare o non accontentarsi, il punto è: Lucy, my dear, dimostra di essere speciale come pensi e non mentire a te stessa, un po’ di praticità e azione non guasta. Credo che essere speciali sia riuscire ad essere sé stessi così sfacciatamente da brillare in mezzo alle numerose maschere costruite. Tutte le persone veramente superiori e di successo che ho conosciuto non hanno mai perso tempo a guardare cosa facevano gli altri, hanno sempre puntato tutto sui loro obbiettivi e sullo star bene, dandosi un gran daffare ma senza dimenticarsi delle cose belle della vita.
    In poche parole, il cervello è una cosa bellissima, ci piace usarlo e riempirlo di nozioni, teorie, letture, film, arte etc. etc, ci sta anche giocare a fare i fighi d’avanguardia e blablabla (adoro questo blablabla), ma anche il culo vuole la sua parte e bisogna muoverlo.
    Amen.

    1. Si può anche essere pratici e di successi, ma se ti piazzano in un deserto senz’acqua crepi comunque. E muovere il culo serve a ben poco. A meno che tu non conosca qualcuno che ti toglie dai guai. Chi si salva spesso é grazie a qualcun’altro. Altro che superiorità e obiettivi…
      Credo che la maggiorparte della nostra generazione si sia fatta un culo tanto… Bel risultato!

  45. Ciao a Tutti.Alla nostra generazione (’74) hanno spento i cervelli.In casa ci hanno viziato,anche per eccessivo amore.E’ incominciata la competizione pubblico-privato tra i media e noi siamo stati la prima vera cavia (in Italia).Siamo una generazione di Paninari invecchiati (e lo scrivo per rispetto di chi lo era e in chi, invece, non si riconosceva).Nel frattempo i nostri “vecchi”,mi riferisco ai politici e dirigenti baby-boomer,si sono mangiati tutto quanto potevano.E nella Milano da bere non si trova più neppure il bicchiere.

  46. questo articolo è di una superficialità eccezionale: stravolge i rapporti di causa-effetto per cui i fallimenti professionali degli appartenenti alle generazioni più giovani sono da attribuirisi al fatto che loro sono arroganti, ambiziosi, vanesi e fatui. viene del tutto ignorato il fatto che A) le nuove generazioni sono state volutamente cresciute per essere fatue, vanesie e cariche di grandi ambizioni, da un sistema che – principalmente attraverso i media, ma non solo – aveva necessità di trasformarli in consumatori, in grandi consumatori, perchè l’economia di mercato può prosperare solo se i consumatori consumano sempre di più: e per creare consumatori smodati è necessario instillare in loro desideri smodati, voglie smodate, ambizioni smodate. B) purtroppo il sistema non ha funzionato bene come si sperava, perchè anche la generazione più ambiziosa che abbia mai vissuto sulla terra ha dei limiti nei consumi che si può permettere. il mercato – perlomeno come è stato teorizzato da certi economisti i cui programmi fecero fortuna a partire dagli anni 60-70 – invece non ha limiti, non deve averne, deve poter crescere ed espandersi all’infinito. quando questa ridicola illusione si è scontrata con la dura (e scontata) realtà dei fatti, siamo precipitati nella crisi economica, in un mondo dove pochi ricchissimi continuano ad arricchirsi ai danni di masse di miliardi di individui che si impoveriscono ogni giorno di più. il mercato cresce, ma non può crescere per tutti, perchè il mondo fisico ha dei limiti. la generazione dei nostri genitori (i baby-boomers) visse l’epoca di più forte espansione economica della storia dell’umanità. partirono da 1 e arrivarono a 10, 100, 1000. le generazioni attuali fanno l’opposto: partono da 10, 100 o 1000 (a seconda della famiglia in cui sono nate) e sono condannate a non andare oltre, anzi, probabilmente scenderanno la china e di brutto. ma la colpa non è di lucy, e frasi come “Grandi successi hanno bisogno di anni di sangue, sudore e lacrime per essere raggiunti” sono un insulto a tutti quelli che sono e sono stati schiacciati e spremuti dagli ingranaggi di un sistema che nemmeno comprendono, e articoli come questo contribuiscono a far sì che non venga mai compreso, e quindi, modificato e combattuto: traslare la responsabilità dal piano della sfera politica pubblica a quello della sfera individuale privata è un sistema eccezionale per ridurre a zero la capacità di critica, e impedire a chicchessia di fiutare la trappola.

    1. la tua puntualizzazione è corretta ma ritengo anche che le due analisi (quella economica e quella sociale) vadano di pari passo e non siano mutuamente esclusive. La trappola che tu descrivi e l’incapacità dell’uomo contemporaneo a riconoscerla sono frutto di un meccanismo globale ma allo stesso tempo individuale.

      Infatti sottolineare solo l’aspetto “politico ed economico”, evidenziando un sistema che ci schiaccia e ci spreme, annulla l’analisi interiore che questo articolo cerca di scuotere nei lettori. Analisi che al contrario ritengo sia essenziale per affrontare al meglio il mondo che ci circonda. La capacità di critica deve essere valida sia in senso centripeto (dal contesto all’individuo) sia in senso centrifugo (a partire dal singolo).

      E’ indubbio che esista un sistema di concause che questo articolo non approfondisce del tutto… ma non userei il termine “superficialità”.

    2. Sono completamente d’accordo con te sul fatto che non vengano considerati parecchi argomenti che invece sarebbe necessario approfondire se si volesse risolvere il problema della crisi (economica e sociale) con una semplice formulina.
      Trovo però che il problema dell’argomento sia contenuto nei tre consigli, che di fatto non risolvono nessun “problema” e non rappresentano nessuna “via di uscita” dalla “modalità yuppy”.

      Innanzitutto il primo consiglio: 1) “rimani selvaggiamente ambiziosa”.
      -Ovvero tendi costantemente a migliorare te stesso (se interpretato da uno yuppi intelligente) a prescindere dall’ambiente esterno. (questa frase sarebbe tutta da discutere)
      -Oppure, haimè, “avrai sempre e comunque ragione anche se nessuno ti capisce”, cioè SEI SPECIALE (olè).
      La prima conclusione ha in sé due anime, ma vista la propensione che ha la generazione Y a pensarsi superiore, l’interpretazione di probabile è la seconda.
      Per quanto riguarda il secondo e il terzo consiglio penso si possa dire che invece hanno il compito di contrapporsi al secondo problema della gen Y, il “vivere di illusioni”; vivere di illusioni è male, perchè così facendo non poni in contatto con la Realtà, quindi quando “perdi” nella vita vieni disilluso e ciò genera sofferenza.
      Allora si dovrebbe come minimo spiegare spiegare per quale assurdo motivo, SE il problema per uno yuppi è il non contatto con la realtà, il consiglio è di ISOLARSI da essa e dagli individui che ne fanno parte?
      Scusate, ma penso che la “chiusura” ermetica in se stessi del punto 3, sia inconciliabile con la presunta “autodinamicità” del punto uno; credo anche che ciò potrebbe invece solamente portare a una generazione di individui che continuerebbero ad attribuire la colpa del loro insuccesso alla “realtà” che non capisce il loro “essere speciali”.
      Ritengo quindi che SE esiste una generazione Y, e i suoi problemi sono quelli evidenziati, allora l’autore dell’articolo è lontano dalla soluzione del problema; l’idagine forse si potrebbe spostare sul campo socio-politico, o addirittura metapolico.

      1. Io non vedo in contrasto il primo ed il terzo punto. Entrambi riguardano il rapporto corretto che si deve avere con la realtà. L’ambizione attiva del punto uno contrasta con l’ambizione passiva di Lucy (sono speciale, non devo fare niente per arrivare a dei risultati). Il terzo punto riguarda l’isolamento da certi atteggiamenti sbagliati, invidia in primis, amplificati dai social. Il tempo speso ad invidiare gli altri potrebbe essere speso meglio. Ignorare gli altri non significa chiudersi in casa, ma significa per Lucy smettere di essere spettatrice. Concentrandosi su di lei invece che sugli altri, Lucy prende in mano la sua vita e si rende conto dei suoi limiti e delle sue qualità. In qualche modo si cala nella realtà nel modo giusto. Io li vedo tutti e tre legati, che vanno nella stessa direzione. Ovviamente non si tiene conto di fattori sociali, disoccupazione, fame nel mondo ecc.. che secondo me vanno al di la dell’obiettivo che aveva l’autore dell’articolo.

  47. Rimboccarsi le maniche è la parola d’ordine. Ragazzi siamo cresciuti nell’era del benessere, tutto ci è stato dato senza sacrificio, ai giorni d’oggi “pretendiamo” le cose piuttosto che lottare per prenderle. Il fallimento ci sembra uno status quo piuttosto che una battuta d’arresto che sicuramente aiuta a crescere. Ribadisco, “rimboccarsi le maniche”, i nostri genitori hanno visto la fame e la miseria e noi invece siamo cresciuti in una realtà edulcorata e piena di stimoli e alternative che ci hanno solo disorientato e viziato, e oggi ci sentiamo onnipotenti. Che l’Italia vada a pezzi è un dato di fatto, ma questo non ci deresponsabilizza dai nostri doveri, primo tra tutti quello di essere grati per tutto quello che abbiamo, che sicuramente, è più frutto del lavoro dei nostri genitori che nostro.

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  49. veramente questo articolo non c’entra una sega con la situazione italiana. una vita passata a studiare, a cercare sempre di capire di più degli altri e ottenere il massimo nell’educazione perché “queste cose danno una marcia in più nel mondo del lavoro!” dicevano. ora mi ritrovo, dopo 2 anni di tirocini mai pagati, a vedermi scavalcare anche dai più asini e a passare i giorni a mandare curriculum a raffica perché ormai a 27 anni sono già fuori mercato… con un “alto profilo” del genere, non se ne parla di lavorare, nemmeno per fare lo sguattero. ogni trenta e lode e ogni ora sprecata nello studio (informatica, mica pizza e fichi) sono i chiodi che mi hanno sigillato per sempre nella bara della disoccupazione cronica. e poi dicono che siamo viziati e sognatori??? io sarei contento se mi prendessero a fare anche il più noioso lavoro part-time di data entry, per dio! sono veramente arcistufo di questa gente che ci spala continuamente merda addosso additandoci come la causa della crisi manco fossimo untori.

  50. Hi/Ciao,

    We’re happy you liked the article and very flattered that you translated it into Italian…but can you please link to the original article at the top of your post so that people know the original source?

    Cheers,
    Wait But Why

    1. Thank you WBW… I don’t understand the difference between top and bottom of the post 🙂
      I quoted your site at the beginning and then I putted the link at the end, following the netiquette properly!
      But if you need it in that way, I can do it…!

  51. interessante anche se più riferibile al contesto statunitense. In Italia i babyboomers hanno avuto obiettivi più modesti e hanno coltivato assai meno l’autostima dei loro figli (cioè ad esempio la mia generazione che si colloca appena prima di quella dei GYPSY: sono del 66). Anzi in Italia paese poco rinnovato e rinnovabile, almeno fino alla mia generazione ci si aspettava che fosse “logico” ed “attendibile” che le cose girassero bene e verso il miglioramento il che non ha stimolato iniziativa e fantasia. Poi negli anni ’80 ’90 quelli della formazione e dell’ingresso nel mondo del lavoro le aspettative si sono sì alzate ma erano fatte di paglia a causa del truffaldino e vuoto mondo italiano che ha spacciato loglio per grano per un trentennio fino a distruggere anche il terreno su cui i giganti di argilla dell’economia erano costruiti. Nella sostanza però è il messaggio finale che fila e che conta anche se è vero che non siamo affato meglio informati e formati, forse lo sono altrove in Europa e in Asia e in America , ma di certo in Italia la scuola pubblica ha fatto un tonfo e giace quasi in coma e non promette di poter più rialzarsi granchè, attende mesta il colpo di grazia…

  52. bios dice:
    Sono d’accordo con Daniel: “Dobbiamo recuperare il concetto di famiglia, il concetto di comunità e quello in più larga scala di Bene Comune”. I nostri genitori hanno ereditato un’Italia e un’Europa distrutte da due guerre!!! Probabilmente non sono stati più fortunati di noi! Bisogna però recuperare i veri valori, quelli che davvero ti fanno stare bene: amore, solidarietà, rispetto per la vita e per l’ambiente….. questa l’unica strada!

  53. Nonostante sia ovvio che un articolo non sia un trattato di sociologia e che quindi comporti una serie di semplificazioni, sono tutto sommato d’accordo con la sua tesi di base.
    Credo comunque che la mentalità americana trasudi soprattutto da un punto: far coincidere tutta la propria vita con la carriera.
    Nessuno dice che la realizzazione professionale non sia importante, ma siamo sicuri che la Felicità dipenda da quello? Non affiderei per nulla al mondo la mia stabilità emotiva a un unico fattore, tantomeno ad uno abbastanza infimo ed immanente come il successo professionale.(Epicuro ci ha già insegnato a prediligere i piaceri catastematici e non i fantocci cinetici).
    Una volta soddisfatti i bisogni primari (ricordate Maslow), il resto è vanità.
    Per me la carriera deve essere come un gioco: se vinci bene e se perdi va bene comunque.L’università può essere dura ma in fondo si suppone che noi si studi ciò che abbiamo scelto in quanto desiderabile ed interessante.

    In sintesi, se potessi formulare dei consigli per me stessa sarebbero:

    – Non identificarti con ciò che va e viene; tu non sei ciò che fai;
    – La carriera è solo una delle tanti parti della vita. Non puntare tutta la tua felicità su un cavallo solo;
    – Non fare nulla che non ti dia piacere ora per avere un piacere in futuro, altrimenti soffrirai sicuramente oggi e non è detto che non soffrirai anche domani.

  54. La felicità deve stare nella testa! E’ un po come il sesso se ti viene facile non ci sono problemi, oppure c’è bisogno di un dottore. Il contesto in cui tutto questo matura invece è importante! Per semplificare dico” Se vai con lo zoppo impari a zoppicare, se frequenti uno stronzo, un delinquente o un infelice prima o poi lo diventi anche tu”! Per chiudere sintetizzando affermo che…La vita bisogna viverla e non pensarla…le varianti sono solo opzioni che bisogna pagare, e poi a chi in questi scritti si rifà agli esempi generazionali dico solo “Che ognuno ha la fortuna di vivere il proprio tempo presente! L’esempio con i tempi passati si caccia fuori solo come scusante di pro o contro”.

  55. Per quanto sia dura accettarlo, sono al 100% GYPSY… Grazie per aver condiviso l’articolo, è molto interessante e sicuramente risparmierà a tanta gente anni e anni di analisi! 🙂

  56. Personalmente mi rispecchio molto nella gen Y e so benissimo che porterò la mia ambizione nella tomba. Sono sempre stato un ragazzo che ha fatto mille cose contemporaneamente: agonismo, conservatorio, lavoro estivo, brevetti vari e mi sono diplomato con un sonoro 96. Tuttavia il primo anno di università non ho concluso quasi nulla. La batosta è stata grande e mi sono sentito molto insoddisfatto e quasi depresso. Tuttavia a differenza di molte persone che hanno vissuto la mia stessa situazione ho deciso di riprovarci, di non mollare, di cambiare strada e valutare altre possibilità ( c’è da dire che ho rinunciato ad un posto di lavoro sicuro perchè a 19 anni non avevo voglia di bloccarmi in quello). Ed ora sono qui e posso sentirmi orgoglioso di come stanno andando le cose in questi anni futuri: mantengo una media del 29 e sono avanti con gli esami rispetto alla mia classe di studi. La batosta presa il primo anno stranamente ha fatto crescere l’ambizione in me e mi ha dato la spinta per ripartire. Cosa voglio fare nella vita??’ non lo so, ma di sicuro, dopo quello che ho pssato sono più forte e pronto a tutto, e fortunatamente il mio corso di studi apre innumerevoli porte nei più svariati settori. Penso che dopo tutto questo, una buona dose di aspettative uno se le crea, ed è anche lecito inseguire una carriera appagante e stimolante. Non mi reputo migliore di altri per qualità, ma sicuramente per ambizione e voglia di mettermi in gioco.

  57. le chiacchere stanno a zero, è vero siamo cresciuti con aspettative molto alte, è vero ci sono state inculcate e nessuno lo mette in dubbio ma consideriamo il contesto; nella generazione dei nostri genitori (la stessa del self made man) la sistuazione era mooolto differente da quella di oggi, al tempo bastava mettersi sotto, trovare un lavoro dipendeva solo dalla volontà di ‘fare’. Analizziamo l’oggi; per quanta volontà un individuo della nostra generazione possa avere di lavorare, deve fare i conti con una situazione economica devasata, opportunità di lavoro (e intendo lavoro vero) dedicata solo a chi esperienza. se hai una laurea sei troppo qualificato se non hai una laurea sei troppo poco qulificato, se ti viene in mente di lavorare a gratis per imparare un mestiere semplicemente non puoi se decidi di formarti per un posto di lavoro o non esiste un corso oppure i corsi hanno costi proibitivi , al che si può sempre dire che ti trovi un lavoretto per pagarti il corso giusto? nulla di più sbagliato perchè il lavoro non esite, si puoi andare a vendere contratti di luce e gas porta a porta oppure puoi andare a vendere stoviglie in un call center dove spesso non vieni pagato oppure i costi di gestione superano di molto i guadagni ( mi sono trovato a spendere 20 € al giorno per lavorare e gaudagnarne 5€!!) quindi perdonatemi se mi permetto di dire che questo articolo è palesemente una stronzata se messa su questo piano! oggi il sogno di molti è lavorare , qualunque sia il lavoro, lavorare per guadagnare abbastanza da poter vivere in autonomia. a chi ci dice che siamo dei mammoni io rispondo che io come altri sta affannando nel cercare qualunque cosa per essere indipendente ma ciò non è fatibile. io presto me ne andrò via, proverò la via dell’estero e spero che non sia un buco nell’acqua ma di sicuro se la generazione dei nostri genitori avesse avuto a che fare con questo periodo storico non ci accuserebbe in questo modo. Mi sono anche sentito dire da persone di 50 anni che loro si sono trovati a ri-partire da 0 e ci sono riusciti, ok bravi ma voi avete un bagaglio di esperienza che noi non abbiamo senza contare le conoscenze ( di persone) che possono dare una ‘spintina’.

  58. Spunto interessante ma mi trovo in disaccordo sulle premesse. L’articolo è basato sull’idea che la felicità e lo scopo della vita graviti intorno all’ “avere successo” quando a mio parere il problema dell’infelicità ha radici ben più profonde e diffuse, a partire dal concetto stesso di lavoro, dalla disgregazione del tessuto sociale e dal rapporto malato che abbiamo con la natura (sia di noi stessi sia la natura in genere). Le conclusioni a mio parere sono anche più inquietanti delle premesse:1) “Cane mangia cane”, 2)”Sei una merda, stacci” e 3)”Fottitene degli altri”… Che in fin dei conti, sono a mio parere la radice del problema, non la soluzione.

  59. Mi pare un articolo molto saggio oltre che veridico dal punto di vista “psicologico”. Tuttavia mi seno di sollevare un quesito, esemplificando concretamente: Poniamo che Lucy pur senza rinunciare alle sue ambizioni, dopo aver terminato gli studi col massimo dei voti inizi a cercare lavoro. Supponiamo che non ne trovi uno adatto alle sue aspettative ed allora democraticamente decida d’arrangiarsi, cercando un lavoro qualsiasi, che le permetta uno stipendio fisso minimo, per sostentarsi e non pesare sulle spalle dei gentori. Non volendo rinunciare alle sue amibizioni Lucy cercherà un lavoro che le consenta di avere un minimo di tempo libero per continuare a dedicarsi a ciò che le piace. Supponiamo che le risulti impossibile ottenere un lavoro da commessa perchè “posto non ce n’è”, un lavoro da barista, “perché non hai esperienza nel campo”, un lavoro da guardiano notturno perché “non è adatto a una ragazza”, un lavoro da gairdiniere perché “pensi di imparare a spese mie?”. Le lezioni private iniziano a diventare anch’esse ambizioni spropositate, fare l’insegnate poi sembra che debba convertirsi nel più ambito dei paradisi onirici, altro che fare il presidente :). Mi chiedevo insomma, per “accontentarsi” di fare un lavoro modesto ad oggi cosa si intenda…perché io son d’accordo con tutte le obiezioni sul nostro comportamento poste nell’articolo (probabilmente esse stesse ci svantaggiano dall’inizio: nella scelta della facoltà, nella scelta di studare meglio e magari più lentamente, nella scelta di non dedicarci altrettanto a lavori di manovalanza durante il percorso universitario) ma poi mi rendo conto che ormai sembra smisuratamente ambizioso anche puntare ad un discreto posto da impiegata. Mia madre ha iniziato ad insegnare a 19 anni, ha avuto una vita dura ma professionalmente soddisfacente. Io ne ho 26 e quello stesso posto di insegnate elementare mi sembra essere più ambito dell’aristotelico tesoro sotto l’albero. Insomma, considerando francamente che quel che io ho fatto ho cercato di farlo al meglio, come tanti miei coetanei, trovo poi difficoltà a marcar bene il limite tra la frustrazione che derivi da noi stessi e dal “difetto generazionale” e quella che ci viene imposta dall’esterno. È su questo che chiedo l’aiuto del pubblico 🙂

  60. Cosa succede quando i genitori dei GYPSY ti giudicano come la rovina di quello che loro hanno costruito? Quanto ti considerano inetto e senza voglia di fare, quando semplicemente cercare di seguire le proprie inclinazioni lavorative viene rinfacciato come un inutile lusso? Il GYPSY non è speciale, verissimo, ma se viene educato a sentirsi inferiore alla generazione precedente, nemmeno in grado di preservare il benessere raggiunto come potrà mai trovare la forza per darsi da fare e di intraprendere una strada con le proprie gambe? io credo che molti GYPSY abbiamo vissuto anche questo stato delle cose per poi finire a lavorare a fianco a fianco con i GYPSY arroganti e presuntuosi e rimanere nella loro ombra o ancora peggio rimanere nella ombra dei loro genitori (se lavorano in famiglia). Una generazione di persone senza autostima che hanno accettato passivamente che il futuro non potrà che essere peggiore del presente e che il loro contributo è, se va bene, irrilevante.

  61. Credo che questo articolo vada preso un po’ con le pinze,in quanto scritto in un contesto socio-economico differente dal nostro.
    Anche io mi sento un po’ lucy,ma a differenza sua mi accontenterei di svolgere temporaneamente un lavoro che non mi piace.Putroppo dopo 10 anni di gavetta come attrice e cantante,e dopo 5 anni passati a collaborare con un produttore artistico che al compimento del mio trentesimo anno di età ha pensato bene di scaricarmi come si fa con la vecchia spazzatura,ho ritenuto opportuno cercare lavoro come cameriera(ho lavorato 10 anni nei ristoranti e dunque ho accumulato considerevole esperienza),per poter mettere da parte un po’ di soldi e spostarmi dalla mia città.Peccato che nessuno mi chiama perchè preferiscono prendere ragazze di vent’anni.L’unico lavoro che sono riuscita a trovare in questi mesi è stato un impiego part-time in un call center,pagato la miseria di 150 euro mensili.Dopo un mese ci hanno licenziate tutte e io mi sono ritrovata a spasso.Si,certo emigrare.Ma per emigrare serve una minima base economica che se non riesci a lavorare non puoi costruirti.

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  64. L’ha ribloggato su il blog che nessuno leggeràe ha commentato:
    Felicità= realtà-aspettative

    un equazione matematica che regola il nostro stato d’animo.

    Riposto un articolo che avevo letto anni fa che spiega perché stiamo tutti (o quasi) così depressi, e non fatemi citare Schopenhauer – La vita è un pendolo che oscilla incessantemente tra noia e dolore,
    E la felicità non è che un intervallo fugace e illusorio tra la noia e il dolore!
    che sennò paro troppo pessimista

  65. Quanta gente che sfoga le proprie frustrazioni, ma mi ci metto anche io.
    Allora, c’è da dire che il mondo, e soprattutto il mondo del lavoro è un posto crudele, nessuno ti regala nulla, e quello che manca a questa generazione dei millenial , o gypsy, è proprio

    1 l’etica del lavoro,
    la gente non sa come lavorare e addossarsi delle responsabilità , e neppure lavorare duro, poi, in Italia, non parliamone neppure..Non è solo colpa dei ragazzi, ma anche dei genitori, che non sapevano o volevano dare loro responsabilità, la scuola che crea dei pecoroni, e l’università che non serve a nulla, è solo lì per succhiarci i soldi fornendoci lauree inutili.

    2 questa generazione è stata senza dubbio viziata,
    con il computer, la tv, tutto il cibo in tavola sempre, nessuna rinuncia, tutte le droghe disponibili, una cannetta, una pasticca e giù di lì. Quale problema hanno dovuto affrontare? prendiamo invece una ragazzina indiana o del terzo mondo, ogni giorno lei lavora almeno 8 ore, bada alla casa e alle sue sorelline, ma stiamo scherzando ? le paragonate ai nostri? chi lavorerebbe meglio? o anche a chi è nato in questo paese negli anni 50, quelli hanno dovuto lavorare duro, e se sbagliavano venivano puniti.

    3 si sono aperti i mercati
    la globalizzazione è questo, una ditta cinese può competere con una della Brianza, come una ditta dell’ Equador, e vi è gente ben più affamata di noi. L’epoca d’oro è finita, quello che era uno stagno, l’epoca degli anni ’60, un lavoro tranquillo , tornare a casa e avere una bella mogliettina, che ci preparava tutto, non c’è più. ora è un oceano e vi sono pesci ben più grandi.

    Quindi non vi è più uno spirito di sacrificio, non si conosce il duro lavoro in questa generazione, Ognuno vuole rimanere al calduccio e non spaccarsi la schiena per due lire, vuole lo stipendio alto, il riconoscimento, etcc..
    ma in realtà non vi è periodo migliore, se sei bravo puoi veramente farti valere, naturalmente servono anni o decenni di duro lavoro, ma è possibile

    consiglio a questi giovani senza lavoro, andate dove vi è la vera frontiera, l’Africa, o il sud est asiatico, o la siberia, e lavorate duro e mettetevi alla prova, poco alla volta, certo ,ma chi rimane al calduccio, vicino a mamma e papà non otterrà nulla dalla vita.
    bisogna anche un po’ rischiare e un po’ soffrire nella vita, sarete comunque delle persone migliori anche se non diventerete ricchi

    dobbiamo capire che il problema siamo noi, siamo deboli e troppo viziati non il mondo, allora tutte le cose si mettono a posto

  66. Trovo che nella maggior parte dei commenti ci si concentri sul lavoro che manca, con tutto ciò che ne deriva e shl discorso qualifiche, lauree, etc. Ma nell’articolo, Lucy il lavoro ce l’ha e si parla della sha felicità. Avere un lavoro ben pagato ed essere felici non son la stessa cosa, e da membro della generazione Y capisco benissimo cosa l’articolo vuol dire. E lo trovo molto vero.

  67. Vorrei dire la mia a riguardo di questo post spiegando semplicemente come viviamo io e tutte le persone che conosco in questi tempi: quando avevo 19 anni non volevo studiare, non ne avevo voglia ed ho iniziato a cercare lavoro anche perché avevamo bisogno di denaro in casa. Dopo 2 anni ci ho rinunciato!! Lavoro non c’era da nessuna parte. Mi sono iscritta all’università per disperazione, dove ho fatto amicizia con un sacco di persone. Essendo io una che ama fare molte cose amici anche in molti altri settori: alcuni più intimi altri sono conoscenti.
    Dopo 5 anni mio cugino che aveva trovato lavoro come agente immobiliare è stato sbattuto fuori dopo 2 anni ed ora è a casa.
    Una mia amica laureata sta ora facendo gelati sul retro di una gelateria artigianale, un altra ha lavorato un mese in un asilo nido ed ha 28 anni. Una è a casa da 3 anni, un altra da 2 dopo aver lavorato un anno come cassiera e poi licenziata perché non avevano i soldi per pagarla. Un altra ancora lavora come segretaria per suo padre ed una in una ditta di rifiuti. Le poche persone che conosco che stanno lavorando hanno un stipendio misero, lavorano a chiamata e guadagnano non più di 300 euro a mese. E molte di loro sono sopra i 30 anni. Oppure sono incredibilmente raccomandate ed anche da raccomandate fanno la commessa/estetista seppur laureate con ottimi voti. Certo ci sarà sempre quella persona che riuscirà a laurearsi e troverà lavoro a tempo indeterminato portando a casa 1000 euro, ma è una su quante? 100?? Io ricordo che le mie amiche 5 anni fa consideravano degradante fare la impiegata, oggi piangono di gioia se trovano lavoro come cameriera. Lavoro c’è, è vero. Ma sono lavori degradanti e se ti va bene non ti buttano a casa dopo un anno o due e devi ricominciare tutto d’accapo (tra l’altro in quel periodo lavorativo non ti danno neanche uno stipendio che può essere considerato tale.) Sinceramente dove la vedete questa generazione Y che si sente un unicorno? A me gli unicorni sembrano i miei genitori che pretendono che io faccia 16 esami in un anno universitario perché tanto “cosa sono 1000 pagine da studiare in una settimana?” La vita è faticosa? Certo che lo è, ma venirci a dire che siamo pretenziosi bah.. non mi pare proprio.
    Non c’è niente di assurdo nel pretendere dopo aver studiato di avere una casa sulle spalle. A me basterebbe un monolocale, un gatto (o cane), vestiti del mercato ed ogni tanto uscite con gli amici. Non pretendo neanche di avere una televisione o un telefono fisso in casa. Mi basterebbe un portatile ed il mio cellulare scrauso.

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